Caro energia, Federalimentare lancia l’allarme sulle pmi

L’industria alimentare rischia di soccombere sotto la scure degli aumenti in bolletta perché dipendente dall’energia tanto quanto settori come acciaio o ceramica. Federalimentare non ci sta e lancia l’allarme per bocca del suo presidente Ivano Vacondio che non usa mezzi termini e parla di pmi con l’acqua alla gola. Non c’è tempo da perdere perché, se continua così, nel 2022 molte aziende chiuderanno con una perdita stimata di oltre 40mila posti di lavoro.

Come spiega il presidente di Federalimentare, “il momento è critico per larga parte dell’industria ma l’alimentare ha un ruolo sociale fondamentale, se si fermano le nostre aziende ne risentiranno i bisogni primari dei consumatori. Stiamo andando verso una situazione sempre più disperata, alcune aziende hanno iniziato a fermare gli impianti nelle ore in cui il costo dell’energia è più alta, per poi riattivarli nelle fasce orarie in cui i consumi sono minori”. Un segnale drammatico che rende l’idea della gravità della situazione.

La criticità maggiore consiste nell’impossibilità dell’industria alimentare di sobbarcarsi l’intero costo della produzione: “nei prossimi mesi gli aumenti dell’energia verranno scaricati sui prezzi e quindi sui consumatori che, trovandosi in difficoltà, compreranno di meno con un conseguente effetto domino che rischia di mettere in ginocchio il paese”. Federalimentare ha chiesto al governo di introdurre misure efficaci in breve tempo, inviando una lettera al premier Draghi dove si illustra la situazione.

“Staremo a vedere – commenta Vacondio – ma la mia paura è che non ci siano sufficienti risorse per risolvere questo problema enorme. Va considerato che stiamo facendo i conti con la corsa alla sostenibilità ambientale che, semplicemente, non è sostenibile economicamente”. Necessario dunque, secondo il presidente di Federalimentare, rivedere i tempi di raggiungimento degli obiettivi delle agende 2030 e 2050 perché ormai inarrivabili. Vacondio conclude ribadendo che il food&beverage italiano non è solo un’etichetta con cui farsi belli all’estero, bensì la somma delle nostre aziende che rappresentano la seconda industria manifatturiera del Paese e valgono circa il 9% del PIL nazionale.

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