Turismo e Umbria: Aur, le risorse naturali da valorizzare

L’Umbria del futuro si può disegnare in base al soft power, ossia a valori come cultura, valori e affidabilità delle istituzioni. Da contrapporre all’hard power, costituito da potere militare ed economico. Secondo il contributo di Fabio Fatichenti, professore di Geografia dell’Università di Perugia ed esperto di tematiche del Paesaggio, per Agenzia Umbria Ricerche, la regione è fortemente dipendente dai flussi turistici, un terzo dei quali stranieri, che cercano borghi e centri storici a caccia di cultura, di beni storico-artistico-architettonici. Ma anche da eventi di portata nazionale e internazionale come Eurochocolate, Umbria Jazz e il Festival dei Due Mondi di Spoleto.

Nel 2019, ci sono stati 2,5 milioni di arrivi per 6,1 milioni di persone, in particolare nella zona di Assisi (21 per cento), nel Perugino (19 per cento) e sul Trasimeno (14 per cento). Se la pandemia, nel 2020, ha comprensibilmente ridotto i flussi, nell’estate l’Umbria è stata riscoperta dal turismo di prossimità. In attesa dunque che altri settori si riprendano, si dovrà insistere sul turismo in una regione che, fin dagli anni Settanta, era chiamata ‘cuore verde’ d’Italia.

Da più di un decennio, con l’arrivo prepotente di internet, si è passati al Turismo 2.0, con crescenti diversificazione e personalizzazione dell’offerta. Il turista si muove più volte all’anno, ma la permanenza media cala. Si punta sul fare l’esperienza e non sul vedere. Per essere competitivi a livello turistico, è centrale il concetto di milieu territoriale, ossia l’insieme degli elementi naturali e artificiali (culturali) stratificatisi nel tempo, capaci di identificare una precisa realtà geografica. Le strategie di comunicazione territoriale dovranno partire da questo patrimonio. La regione dovrà acquisire una ‘reputazione turistica’. Per l’Umbria possiamo riferirci a tre elementi naturali: acqua, paesaggio e biodiversità.

Partiamo dalle acque. In Umbria ce ne sono di molto apprezzate qualitativamente, sfruttate sotto il profilo commerciale, ma ancora senza la valorizzazione del notevole patrimonio idrominerale a fini termali (scopo terapeutico e/o di benessere). Ci sono impianti a Gubbio, Collemancio (Cannara), Fontecchio (Città di Castello), Spello, Spoleto, Otricoli, Carsualae. Ma vengono oggi utilizzati solo quelli attivi da sempre (San Gemini, Amerino, San Faustino, Fontecchio e San Felice), a cui si è aggiunto Parrano (2011) e Triponzo (2016). Si attende l’attivazione delle terme del Centino o del Cacciatore a Nocera Umbra e di Tiberio a Castel Viscardo. Per lo più dimenticati bagni come quelli della Sorgente di Monte Lauro, vicino a Bettona, del Salicone a Norcia e del Lecinetto a Narni.

Passiamo al paesaggio. L’Umbria offre la possibilità di sentieri alternativi ai già battuti sentieri del vino e dell’olio. Censirli sarebbe il primo passo per poi renderli fruibili al turismo esperenziale, che tanto di moda va ai giorni nostri.

Infine, il patrimonio agroalimentare. Possiamo parlare di eccellenze minori come la Fagiolina del Trasimeno, la Cipolla di Cannara, il Sedano nero di Trevi, la Patata rossa di Colfiorito. Notissima invece è la Lenticchia di Castelluccio di Norcia. Così come il Farro di Monteleone di Spoleto. Sono presìdi di biodiversità. Si affiancano, negli ultimi anni, roveja, zafferano e canapa.

“Investire in ricerche e studi mirati a individuare e a costituire in sistema tale patrimonio – non alternativo, bensì complementare ai tradizionali e consolidati fattori di attrazione naturali e culturali -, svelerebbe molte pieghe ancora nascoste di questa regione, contribuendo alla distribuzione dei flussi nelle aree turisticamente meno forti e alla costruzione di una immagine (e auspicabilmente di un marchio) conforme alle attuali esigenze e tendenze del turismo”.

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