Bartolini, Cia Umbria: “Cinghiali: serve deroga alla legge sulla caccia”

La provocazione: “Se serve coinvolgiamo anche l’Esercito”. L’auspicio: “Tornare ad avere un equilibrio tra numero di cinghiali e popolazione”. La preoccupazione: “Troppo incidenti e danni all’agricoltura per colpa della fauna selvatica in Umbria”. Questo in sintesi il pensiero di Matteo Bartolini, Presidente di Cia Umbria, sulla questione che tiene banco negli ultimi anni: la proliferazione dei cinghiali nella regione.

“Noi non siamo per aprire la caccia a tutto l’anno, annientando la popolazione dei cinghiali. Ma vogliamo che torni l’equilibrio per chi fa agricoltura. A oggi, potenzialmente, le situazioni si sono aggravate. Nel 2020, a causa del covid, le squadre di cacciatori non hanno potuto cacciare, quindi c’è stato un aumento nel numero di cinghiali ancora maggiore”.Tanti gli episodi che hanno visto coinvolti questi animali e l’essere umano: “Nel settembre scorso, nell’area di Acquasparta, ci fu una vittima finita contro un albero per un incidente stradale. Altra tragedia evitata sull’E45, all’altezza di Città di Castello, con sei cinghiali che erano in superstrada: tre auto coinvolte, cinque feriti. E ancora ci ricordiamo di due anni fa, quando un cinghiale era in autostrada, sull’A14, e ci fu un incidente mortale”.

Bartolini cerca unità dei soggetti coinvolti: “Questa non è la fase della conflittualità tra cacciatori, agricoltori e Regione. Bisogna costruire insieme un percorso per ritrovare l’equilibrio che c’era prima. Da diversi anni non c’è più. I segnali che bisognava cogliere c’erano: la Regione che doveva indennizzare perché i danni erano peggiori di ciò che veniva stanziato. Potremmo andare in deroga, chiedendo le autorizzazioni anche al Governo, o modificando la legge sulla caccia. Bisogna allargare i tempi della caccia. È il momento per risolvere la problematica, lo dobbiamo a un’agricoltura già in difficoltà per la pandemia con i canali Horeca chiusi. Se aggiungiamo le colture danneggiate e i rimborsi che non ci sono o sono troppo bassi, il quadro è chiaro. Tutto ciò non incentiva a fare agricoltura nelle aree interne e non permette ai giovani di insediarsi con buone prospettive”.

Insiste il numero uno della Cia Umbria: “Si potrebbe ragionare in questa direzione, magari creando una filiera tracciata della carne di cinghiale. In questo modo, si potrebbero recuperare fondi per ripagare il cacciatore, l’agricoltore o permettere agli Atc, gli Ambiti territoriali di caccia, di acquistare reti o strumenti utili per tutelare le coltivazioni. Limitare il numero di cinghiali, facendo una caccia massiccia, e mettere in piedi una filiera i cui proventi andrebbero a indennizzare gli agricoltori o a ripagare il cacciatore che dedica più giornate alla caccia. O dare una mano agli Atc che acquisterebbe le attrezzature utili a evitare il danno della popolazione selvatica”.

C’è una novità: “L’assessore regionale Morroni ha accolto le richieste del mondo venatorio e nostre di aumentare la quota per i rimborsi, per giustificare il fatto che nel 2020, causa covid, molte squadre di cacciatori non hanno potuto cacciare. Con questi soldi, si andrebbero a ripagare i danni all’agricoltura che altrimenti dovrebbero pagare i cacciatori e non sarebbe giusto visto che sono stati inabilitati a fare la loro attività a causa del covid”.

Dai cinghiali al biologico: “L’auspicio è che la legge approvata al Senato per lo sviluppo del settore arrivi all’approvazione alla Camera senza modifiche. Dopo quattro passaggi e 10 anni di attesa, speriamo che ciò avvenga. L’Europa, con il New Green Deal, punta ad avere superfici coltivate bio del 25 per cento entro il 2030, poi c’è il consumatore che chiede sempre di più prodotti biologici. Con la legge, avremmo anche risorse per la ricerca, verrebbero stabiliti criteri nazionali per i Distretti biologici. Il futuro Psr metterà a disposizione tante risorse, è un segnale forte che l’Europa vuol dare per una produzione più rispettosa dell’ambiente. L’Italia sul bio è più avanti dell’Europa, siamo al 16% di terreni coltivati contro una media dell’8%. Ma non scordiamo che le risorse servirebbero anche per formare e aiutare le aziende agricole a passare da una coltivazione convenzionale a una biologica, in cui servono più conoscenze agronomiche”.

In ultima analisi, affrontiamo il tema agriturismi: “C’è stata una buona ripartenza, le nostre aziende hanno lavorato bene durante il Ponte. Speriamo che l’estate sia come quella passata, in cui però si è lavorato solo a luglio, agosto e una parte di settembre prima del nuovo lockdown che ha bruciato Natale, Capodanno e Pasqua. Un’azienda agrituristica non può pensare di mantenersi lavorando solo due mesi all’anno. L’auspicio è dunque che l’estate ricalchi quella 2020, ma che poi – vista anche la campagna vaccinale – si possa progettare con calma l’autunno. Che in Umbria è periodo di maggiore fioritura, con gli eventi legati alla raccolta delle olive (Frantoi Aperti), al vino (Cantine Aperte) e al tartufo”.

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