Parchi permanenti italiani: ultimo appello prima di azioni eclatanti

È l’ultimo appello prima di azioni eclatanti. L’Associazione Parchi Permanenti Italiani, aderente a Confindustria, ha deciso di scrivere al ministro per gli Affari regionali e le autonomie, Maria Stella Gelmini, al collega del Turismo, Massimo Garavaglia, e al numero uno del dicastero della Cultura, Dario Franceschini, oltre che al premier Mario Draghi, segnalando sconcerto e grande delusione per la decisione di posticipare le aperture per le 230 imprese del settore (parchi acquatici, faunistici e tematici) al 1° luglio.

La scienza ha più volte ribadito come le possibilità di contagi all’aria aperta siano infinitamente inferiori, così come la presenza di cloro nelle piscine elimini in pochi attimi l’agente vitale. Eppure, secondo il Comitato tecnico scientifico, i parchi divertimento sono pericolosi. “Se lo scorso anno, con la pandemia in atto e senza vaccinazioni, il settore è stato riaperto a fine maggio, nel 2021 con la campagna vaccinale in corso, i farmaci e le nuove accortezze, incomprensibilmente, il Governo toglie un mese di lavoro al settore”.

“La disparità di trattamento rispetto ad altre categorie – dichiara Giuseppe Ira, presidente Associazione Parchi Permanenti Italiani, aderente a Confindustria, e del parco tematico Leolandia (BG) – è configurabile in una vera e propria concorrenza sleale, che genera rabbia e risentimento negli Associati. Siamo trattati peggio delle sale giochi e delle altre attività al chiuso, inclusi i ristoranti, nei quali si sosta per ore senza mascherina. Le attività dei nostri parchi si svolgono sempre all’aperto, con ampi spazi a disposizione e sotto il controllo di personale preposto, a differenza di quanto può accadere per strada o nelle aree gioco per bambini dei parchi pubblici, peraltro già aperte, dove manca ogni tipo di monitoraggio del distanziamento e non sono presenti i presidi per la sanificazione delle mani. Contingentiamo gli ingressi per evitare ogni rischio di assembramento e abbiamo predisposto severi protocolli di sicurezza che hanno già ampiamente dimostrato la loro efficacia lo scorso anno. Negli USA i parchi sono stati aperti in febbraio, non appena è partita la campagna vaccinale, e in Gran Bretagna hanno deciso di riaprire subito i pub all’aperto e tutti i parchi di divertimento”.

L’Associazione prosegue con gli esempi di disparità: sono stati riaperti i musei dal chiuso (dal 26 aprile, in zona gialla), ma non i parchi faunistici all’aperto e i parchi avventura nei boschi; si dà il semaforo verde alle piscine all’aperto il 15 maggio, tutte dotate di scivoli per bambini, ma non ai parchi acquatici; si riaprono palestre e ristoranti al chiuso dal 1° giugno e si annuncia addirittura il ritorno del pubblico negli stadi da maggio, ma non nei parchi tematici.

“Chiediamo l’immediata equiparazione ai comparti merceologicamente simili – prosegue il presidente Ira – altrimenti dovremo intraprendere azioni eclatanti. Abbiamo sempre mantenuto un profilo dialogante e collaborativo, ma evidentemente non è servito a nulla: le categorie che hanno urlato scompostamente hanno ottenuto più attenzione e parziali risposte. Siamo tra i primi settori ad essere colpiti dalla crisi e le aziende del comparto registrano in media una perdita dell’80%: quest’anno avremmo bisogno di una stagione più lunga, per contro la decisione del Governo condanna molti parchi all’impossibilità di aprire. Fino al 2019, il nostro settore coinvolgeva direttamente 25.000 occupati, circa 50.000 con l’indotto. La perdurante incertezza porterà ad una fortissima contrazione degli occupati, ormai in FIS da troppi mesi. La nostra forza lavoro non ce la fa più: i migliori hanno trovato un altro impiego, ma migliaia di persone faticano a sopravvivere, dopo aver dilapidato i propri risparmi e quelli dei propri familiari. Ci aspettiamo anche una presa di posizione da parte del ministro Garavaglia, che abbiamo incontrato più volte e che ci aveva assicurato il suo impegno per il passaggio della categoria dei parchi sotto il ministero del Turismo”.

C’è poi un altro problema: formalmente il comparto rientra nella categoria ‘Circhi e Spettacoli Viaggianti’, che rientra sotto il ministero dei Beni culturali, e da questo dipende la sistematica inadeguatezza degli interventi di sostegno alla categoria negli ultimi 14 mesi. I Parchi, nonostante i costi fissi per il mantenimento delle strutture degli animali e verde, e nonostante gli alti livelli occupazionali offerti, non sono stati compresi in almeno quattro provvedimenti legati ai ristori; prima perché il confronto tra aprile 2019 e aprile 2020 non dava scostamenti significativi, in quanto molti parchi ad aprile non sono ancora operativi, poi perché è stato limitato l’accesso al credito alle imprese con più di 5 e 10 milioni di fatturato. Non facendo parte del Turismo, poi, i parchi non hanno potuto accedere alle agevolazioni fiscali previste per il comparto, come l’esenzione Imu.

“Per non parlare dei finanziamenti – conclude Ira – un’azienda che perde l’80% nel 2020 e nel 2021 avrà comunque risultati negativi, a causa del Covid-19 e della chiusura disposta dal Governo, non è considerata affidabile. Gli Istituti b ancari si sono limitati a coprire le loro esposizioni, consolidandole a 6 anni con garanzie statali, mentre il credito alle aziende è stato erogato raramente ed a un costo altissimo in termini di interesse”.

Nel 2020, il 20 per cento dei parchi non ha proprio aperto, così si sono persi 10 mila lavoratori stagionali. La situazione rischia di diventare ancora più precaria per centinaia di imprese italiane e per migliaia di lavoratori, Nel 2019 il settore aveva generato un giro d’affari maggiore di 400 milioni di euro, cifra che arriva a un miliardo considerando l’indotto: hotel, ristorazione, merchandising, manutenzione e altre voci collaterali.

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