Crisi in Umbria: settori e imprese colpiti in maniera diversa

In Umbria, la pandemia e la crisi economica conseguente non hanno colpito allo stesso modo i diversi settori produttivi. E le stesse imprese hanno reagito in maniera diversa. L’Aur ha dunque fatto un’indagine tenendo presenti le imprese con più di due addetti, a dicembre 2020, e le cinque categorie scelte dall’Istat: statiche resilienti, statiche in crisi, proattive in sofferenza, proattive in espansione e proattive avanzate. Le prime non hanno dovuto reagire non avendo subito conseguenze, le seconde non hanno adottato strategie particolari pur subendo la crisi pandemica, le terze sono state duramente colpite dalla crisi mettendo in atto strategie strutturate di reazione, le proattive in espansione sono state colpite in modo lieve senza alterare il proprio sentiero di sviluppo precedente, le proattive avanzate sono state colpite in maniera variabile e nel 2020 hanno aumentato gli investimenti rispetto al 2019.

In Umbria, il 33,2 per cento rientra nella categoria di proattive in espansione, il 23,2 per cento di resilienti statiche, il 12 per cento di statiche in crisi, il 23 per cento di proattive avanzate, l’8,5 di proattive in sofferenza. Volendo ulteriormente aggregare i cinque gruppi in base al grado di reattività alla crisi, possiamo arrivare a due macrocategorie: le statiche e le proattive. Le prime sono di sicuro le più numerose, arrivando a poco meno di due terzi del totale, in linea con il dato nazionale, ma hanno capacità più limitate di generare reddito e occupazione. Il restante 35 per cento è proattivo, ma corrisponde al 58 per cento degli addetti e al 65 per cento del valore aggiunto.

Facendo un confronto con il panorama nazionale, le imprese umbre sono relativamente più presenti tra quelle in difficoltà. Si può poi fare anche un’altra suddivisione: imprese in sofferenza, indipendentemente dalla reazione; resilienti statiche, che hanno resistito senza particolari strategie e senza subire effetti negativi rilevanti; in espansione o avanzate che, pur colpite dalla crisi, non hanno alterato il loro precedente sentiero di sviluppo e, in alcuni casi, hanno addirittura incrementato gli investimenti.

Seguendo questa suddivisione, in Umbria troviamo il 42 per cento delle imprese in difficoltà contro il 39 per cento italiano (31 per cento gli addetti, 21 per cento il valore aggiunto), poi ci sono le statiche resilienti (31 per cento, con il 23 per cento di addetti e di valore aggiunto), quindi le proattive non in sofferenza (26 per cento con 46 per cento di addetti e 56 per cento di valore aggiunto totale).

Si può dunque dire che l’impatto del covid è stato più forte sulle imprese più piccole, anche perché è qui che si concentra il più alto numero di chiusure forzate. Abbiamo aziende in difficoltà, difatti, nei settori Altri Servizi (operatori dell’alloggio e della ristorazione e del turismo) e nelle Costruzioni., dove è più presente anche la resilienza. Le proattive in espansione e avanzate le troviamo in particolare in Industria e Commercio.

Le più diffuse difficoltà denunciate dal settore Altri servizi si ritrovano nella frequenza relativamente più elevata di risposte connesse agli effetti previsti entro giugno 2021: rischi operativi e di sostenibilità dell’attività, riduzione della domanda conseguente alle limitazioni indotte dal distanziamento, seri problemi di liquidità. Le imprese operanti nell’Industria in senso stretto sono invece quelle che più di altre temono una riduzione dell’attività a seguito dei contraccolpi subiti dal commercio nazionale e mondiale (ma anche per problemi connessi all’aumento dei costi di materie prime-semilavorati e dei trasporti). Esiste infine una categoria residuale di imprese, presente soprattutto tra le Costruzioni, che ritiene di poter proseguire normalmente la propria attività senza subire effetti particolarmente negativi.

Si conferma dunque la necessità di interventi selettivi e mirati, sia per le misure di sostegno sia per i programmi per la ripresa.

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