Coronavirus: l’impatto economico sull’Umbria

Il coronavirus, in Italia, sta incidendo pesantemente anche sul sistema economico. La limitazione dei movimenti di persone e cose, la cancellazione di eventi, la chiusura delle scuole, delle università, dei luoghi per lo svago, le raccomandazioni sui rapporto sociali rallentano o bloccano molte attività produttive. Aggiungiamoci la psicosi che non aiuta di certo il sistema produttivo, che in molti casi rischia di fermarsi completamente.

L’analisi è dell’Aur. L’impatto del coronavirus non è solo nelle zone più colpite dall’emergenza. In Umbria, per esempio, come si ripercuoterà tutto questo sull’economia regionale? I due pilastri sono industria manifatturiera e settore turistico – culturale. Si basano principalmente sullo spostamento fisico di merci e persone. L’industria manifatturiera umbra è molto dipendente dai collegamenti con le economie esterne, sia per quanto riguarda l’approvvigionamento sia per la destinazione delle risorse. Flussi in entrata e in uscita coprono metà circa delle relative risorse del settore.

Gli input intermedi per la produzione, in grado di incidere per i tre quarti del totale, sono per la metà beni e servizi che arrivano da fuori regione (il 70 per cento dall’Italia, il 30 per cento dall’estero); in più, le risorse manifatturiere disponibili dell’Umbria per metà sono costituite dall’output prodotto dentro la regione, l’altra metà è importata dall’estero (due terzi dall’Italia, un terzo da oltre confine). Metallurgia e Moda dipendono in larga parte, per l’approvvigionamento, dall’estero. Le risorse intermedie che servono alla prima delle due sono per il 78% acquistate da fuori regione (il 51% dalle altre regioni d’Italia e il 27% dall’estero); quelle necessarie alla seconda sono per il 54% di origine esterna, prevalentemente italiana. Poi ci sono Chimica e Plastica, che si distinguono per una dipendenza dall’esterno in termini di impiego di input intermedi altissimo, tra il 70% e l’80% di quanto necessario.

Parliamo dunque di un settore particolarmente vulnerabile, a cui interruzioni forzate di singoli anelli della catena produttiva di fornitura mettono a rischio l’intero sistema.

Il secondo comparto di cui parliamo è il turismo. Le cancellazioni nelle strutture ricettive sono nell’ordine del 60 – 70 per cento, ma con possibilità di peggioramento, con ripercussioni su ristoranti e attività di commercio. Mancano gli arrivi, in particolare dall’estero, soprattutto dalla Cina. Quello cinese è infatti il secondo gruppo – dopo quello americano – di persone che vengono a visitare l’Umbria. Solo nel 2018 sono stati 77 mila, il 10 per cento di tutti gli arrivi dall’estero. Grandi eventi come il Festival del giornalismo e The Economy of Francesco sono stati cancellati o rinviati. L’aeroporto internazionale San Francesco non avrà naturalmente il flusso record che si era stimato per il 2020.

Più durerà l’epidemia, più grossi saranno i danni. E poi ci saranno gli strascichi. Chi ha annullato il suo viaggio per l’Umbria, anche dopo la fine dell’emergenza ci metterà un po’ a riprogrammare un viaggio, come successo dopo il terremoto del 2016. Chi ha iniziato a sperimentare gli acquisti online, tenderà a conservare questa abitudine, evitando dunque di frequentare i negozi tradizionali. Per uscire da questa lunga crisi, servirà la cooperazione di tutti, istituzioni, imprese e cittadini. Per l’Umbria serviranno misure forti perché parliamo di una regione già debilitata da una lunga crisi.

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