Indagine Cna Umbria: fusione Comuni, pioggia di euro per la regione

Se i Comuni umbri si fondessero, in un solo anno, verrebbe recuperata oltre la metà dei trasferimenti agli enti locali tagliati tra il 2010 e il 2016. Una vera e propria pioggia di euro, come ha rilevato Cna, che ha condotto un’indagine con il centro studi ‘Sintesi’. “Dalla fusione dei Comuni dell’Umbria, nei prossimi dieci anni, potrebbero arrivare ingenti risorse sul territorio, da utilizzare poi per ridurre la pressione fiscale e aumentare gli investimenti pubblici” ha illustrato Roberto Giannangeli, direttore di Cna Umbria.

“Dalla nostra indagine emerge che, ipotizzata una serie di accorpamenti e calcolato ciò che ne deriverebbe in termini economici, non solo grazie agli incentivi previsti dalla legge per i Comuni coinvolti, ma anche dai risparmi che si realizzerebbero dalla riduzione della spesa pubblica, il risultato sarebbe assolutamente impressionante”.

Ventiquattro le fusioni ipotizzare, tra 86 Comuni umbri. Dai 92 municipi attuali si passerebbe a 30 solamente, escludendo quelli più grandi – Terni, Perugia, Gubbio, Castiglione del Lago e Spoleto – e, per altri motivi, San Giustino. Precisa Giannangeli: “Secondo la legge, nei Comuni interessati per i 10 anni successivi alla fusione, arriverebbero 82 euro pro-capite l’anno. Parliamo di un incremento dei trasferimenti da 1,5 a 2 milioni all’anno per dieci anni. Risorse che, in media, abbatterebbero del 12 per cento la pressione fiscale o incrementare del 26 per cento gli investimenti pubblici nel territorio”.

La Cna umbra ha deciso di fare questa indagini per “individuare risorse finanziarie necessarie a far ripartire l’economia locale. Per farlo, siamo convinti che una delle priorità sia affrontare il forte deficit infrastrutturale della nostra regione, deficit che rende più difficile la ripresa economica dell’Umbria rispetto ad altri zone”. E ancora: “Da tempo ci siamo resi conto che se non riparte il settore delle costruzioni, non ripartono i consumi locali. Abbiamo anche tenuto conto dell’obbligo imposti ai Comuni, dal Governo, di andare – entro la fine del 2017 – verso la gestione associata di tutte le funzioni fondamentali”.

Per ipotizzare le fusioni, sono stati adottato alcuni criteri: i processi di fusione in corso, la continuità territoriale, la morfologia del territorio, l’articolazione dei distretti sanitari e dei sistemi locali di lavoro. Alberto Cestari, centro studio ‘Sintesi’, ha aggiunto: “I piccoli Comuni hanno costi maggiori e alte diseconomie di scala, con un aumento costante delle spese correnti. Quello con meno di 5 mila abitanti sono 60 e il tasso di anzianità è più alto che in città: il 28% di popolazione ultra 65 enne contro una media regionale del 25%. Per tutti questi motivi, il Governo ha obbligato i municipi più piccoli a passare una gestione associata entro il 2017 tramite convenzioni, unioni e fusioni”.

Chiosa Giannangeli: “Quello delle fusioni è un processo inevitabile. E allora tanto vale farlo adesso che ci sono gli incentivi che più avanti, quando saremo obbligati e non avremo alcun beneficio economico diretto”.

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