“Scoprire che il presidente di Confindustria Catania da 20 anni pagava il pizzo alla mafia, attraverso la grande azienda di autotrasporto e logistica di cui è proprietario col fratello, è davvero la fotografia di quanto, al di là di protocolli e dichiarazioni di facciata, sia debole, ipocrita e solo di facciata la battaglia per la legalità nel nostro paese e nel mondo dell’autotrasporto in particolare”.
A parlare è la presidente di Ruote Libere, Cinzia Franchini. “Angelo Di Martino, commendatore al merito della Repubblica, eletto pochi mesi fa alla guida degli industriali catanesi e da sempre attivo nel mondo della rappresentanza, è presidente dell’omonimo gruppo che conta 1500 occupati tra dipendenti e indotto. Dalle carte dell’inchiesta “Doppio petto” sugli affari degli Ieni, nota famiglia legata alla criminalità organizzata siciliana, emerge come, insieme al fratello Filippo, Di Martino avesse iniziato a pagare da inizio anni Duemila, consegnando alla famiglia mafiosa fino a 8mila euro all’anno – continua Cinzia Franchini – Davanti all’evidenza sono stati gli stessi Di Martino a confermare di aver accettato di sottostare all’ignobile ricatto dei boss. Il fatto che questi imprenditori siano vittime dell’estorsione, il fatto che dal punto di vista legale non siano perseguibili, non basta a derubricare questa vicenda. E’ evidente che oggi, anche agli strumenti legislativi conquistati con fatica e a prezzo di vite umane, le vittime del pizzo, quando si parla di colossi imprenditoriali simili, non sono ingenui e inermi imprenditori lasciati soli a se stessi”.
“No, le vittime del pizzo a questo livello, decidono di esserlo e, così facendo, contribuiscono a perpetrare un sistema criminale inaccettabile. Sono passati 30 anni da quando Libero Grassi morì da eroe a Palermo, ucciso da 4 colpi di pistola mentre andava al lavoro, per aver detto no al pizzo nell’allora silenzio del sistema associativo e politico. Da allora tanti passi in avanti sono stati fatti, con fatica. Adesso gli imprenditori non vengono lasciati soli e gli strumenti ci sono: che il rappresentante di tutti gli imprenditori siciliani si sia piegato a pagare per ‘quieto vivere’ è uno schiaffo a decenni di battaglie. Cosa resta dei protocolli sulla legalità scritti dalle associazioni di categoria, delle frasi ripetute da tanti vertici associativi “chi paga il pizzo oggi o è stupido o è colluso”, degli appelli a denunciare, a ribellarsi, a rompere il muro della omertà e del silenzio, se poi il leader di Confindustria Catania da due decadi accetta il sistema mafioso? Che concreti passi in avanti sono stati fatti dopo che il caso-Montante ha svelato la corrotta antimafia di facciata siciliana?”.
“A questo punto, oltre alle inevitabili dimissioni da presidente di Di Martino, sarebbe finalmente necessario aprire una riflessione vera e senza filtri sulla criminalità nel mondo economico italiano e dell’autotrasporto in particolare, da sempre nodo nevralgico degli interessi dei clan. Smettiamola di dire che oggi l’Italia ‘esporta l”antimafia’ perché non è così e il caso di Di Martino lo dimostra. E allora lo ribadiamo, perché alla luce di notizie simili, è quantomai necessario: davanti alla mafia occorre denunciare, gridare. Il silenzio e la sottomissione oggi non sono affatto frutto di una paura condivisibile, ma anche quando ciò avviene inconsapevolmente, si traducono in un rafforzamento del sistema mafioso”.