Si è messa in moto la macchina del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Gli enti territoriali, in accordo con il Governo, devono avere un ruolo centrale: si stima che 66 miliardi di euro (che possono arrivare a 80 contando anche il Piano nazionale per gli investimenti complementari) vedranno il coinvolgimento anche di Regioni, Province, Città metropolitane, Comuni e altri soggetti territoriali. Sessantasei miliardi, ossia oltre un terzo delle risorse totali.
Due le missioni che vedranno maggiormente protagonisti gli enti locali: quella della salute (gestita quasi del tutto da Regioni e Aziende sanitarie e ospedaliere) e quella di inclusione e coesione (il 93 per cento delle risorse sarà destinato a livello locale). Ma come vengono coinvolte le amministrazioni locali nella gestione diretta delle risorse? In due modi: in qualità di destinatari di risorse, partecipando a iniziative finanziate dal Governo per realizzare progetti specifici che contribuiscono a un obiettivo nazionale (es. in materia di digitalizzazione); in qualità di soggetti attuatori diretti o beneficiari, acquisendo la titolarità di specifici progetti in ambiti di competenza locale e assumendosi la responsabilità della loro concreta realizzazione (es. asili nido, edilizia scolastica, interventi per il sociale).
Nella seconda modalità rientra il tema della rigenerazione urbana, che fa parte della Missione 5 (Inclusione e coesione), e a cui sono destinati 3,3 miliardi, il 16,6 per cento di quelle previste per l’intera missione. La rigenerazione urbana è rappresentata da un insieme di interventi che, migliorando il decoro urbano e il contesto ambientale, svolgono una funzione di supporto all’inclusione e alla riduzione di emarginazione e degrado sociale. Il totale di queste risorse sono state destinate dal ministero dell’Interno con un bando per i Comuni con più di 15 mila abitanti al fine di mettere in pratica progetti di rigenerazione e riqualificazione, finalizzati ad affrontare problemi di degrado, scarsa sicurezza, mancanza di identità nei quartieri, carenza di spazi pubblici attraverso la realizzazione di nuove realtà e la creazione di infrastrutture e servizi, anche attivando politiche di partecipazione. La priorità è stata data ai Comuni con maggiore vulnerabilità sociale e materiale (indice Ivsm), caratterizzato da sette discriminanti: la presenza di alloggi impropri, di famiglie numerose, con potenziale disagio economico e in disagio di assistenza, di giovani fuori dal mercato del lavoro e dalla formazione, l’affollamento abitativo.
Sono stati presentati complessivamente 2.418 progetti, ammessi 2.325, finanziati 1.784. Ne sono titolari 483 Comuni. I finanziamenti per gli enti sotto i 50 mila abitanti non superano i 5 milioni di euro, per quelli più grandi e per le città metropolitane si può arrivare a 20 milioni di euro. Il 53 per cento delle risorse è stato destinato al Mezzogiorno, con la Campania prima con 487 milioni di euro. All’Umbria vanno 78 milioni di euro, il 2,3 per cento dello stanziamento totale.
Dei 15 Comuni umbri su 92 totali oltre i 15 mila abitanti, 14 hanno partecipato alla selezione e 12 sono stati finanziati. Gubbio e Narni sono stati ammessi, ma non finanziati in quanto non era sufficientemente elevato l’indice di vulnerabilità sociale e materiale. Castiglione del Lago non ha presentato richiesta nei tempi previsti. Tra i tre Comuni umbri con almeno 50 mila abitanti, Terni ha avuto 18 milioni di euro (il 23 per cento del totale per l’Umbria); in termini procapite, però, è Umbertide a guidare la classifica, con 304 euro per abitante e un totale di 5 milioni da investire.
Le iniziative finanziabili ricadono sotto tre ambiti di intervento: manutenzione per il riutilizzo e la rifunzionalizzazione di aree pubbliche e strutture edilizie pubbliche esistenti a fini di pubblico interesse, compresa la demolizione di opere abusive eseguite da privati in assenza o totale difformità dal permesso di costruzione e la sistemazione delle aree di pertinenza; miglioramento della qualità del decoro urbano e del tessuto sociale e ambientale, anche attraverso la ristrutturazione edilizia di edifici pubblici, con particolare riferimento allo sviluppo di servizi sociali e culturali, educativi e didattici, o alla promozione di attività culturali e sportive; interventi per la mobilità sostenibile. Quasi tre quarti delle risorse assegnate alla regione riguardano il secondo ambito.
Le risorse saranno assegnate secondo una programmazione che si completerà nel 2026. I lavori dovranno essere tassativamente affidati entro il 30 settembre 2023, mentre entro il 31 marzo 2024 dovrà essere realizzato almeno il 30% delle opere, pena la revoca totale del contributo assegnato. Entro il 31 marzo 2026 dovrà essere infine trasmesso il certificato di regolare esecuzione, in linea con il termine di conclusione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.
Notoriamente, in Umbria, le opere previste hanno un tempo di realizzazione lungo. In questo caso, andremmo dai tre agli otto anni e mezzo. A cui va aggiunto il tempo necessario a espletare le procedure amministrative di realizzazione della spesa e rendicontarla, passaggio necessario secondo il Next Generation Eu. Sarà un bel banco di prova per l’Umbria, fa sapere l’Aur.