Umbria: sistemi pseudo-urbani senza le caratteristiche tipiche delle città

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Anche in Umbria, l’espansione urbana degli ultimi decenni ha creato sistemi pseudo-urbani privi delle caratteristiche che sono proprie di un luogo simile, ossia di scambi socioeconomici e dell’abitare. Si è persa la capacità di creare reddito attuando iniziative di pianificazione e sviluppo urbano in grado di generare benessere sociale, ossia migliore qualità della vita, minimo consumo di risorse e socialità degli abitanti.

Come scrive l’Agenzia Umbria Ricerche, il fenomeno a cui abbiamo assistito è stato la disgregazione della storica policentricità dell’insediamento umbro, sostituita poco alla volta da interventi inadeguati che non hanno creato i livelli di qualità preesistenti né sono riusciti a proporne di validi. Il preteso carattere policentrico della struttura urbana umbra costituisca oggi una rappresentazione priva di fondamento se comparata anche solo alle due Regioni con le quali ha relazioni storiche, culturali e funzionali più solide. È venuto a mancare l’inserimento di meccanismi di riqualificazione mirati al benessere collettivo degli abitanti dei vari centri umbri, che invece esisteva fino alla metà del secolo scorso.

L’attività di pianificazione e di progettazione dovrebbe quindi tendere alla ricerca di centralità diffuse (dotate di grande autonomia socio-relazionale) che creino e/o recuperino le connotazioni precipue dei luoghi mirando alla definizione di un continuum urbano che superi e riqualifichi l’attuale discontinuità tra il costruito e il non costruito (le aree di risulta, le aree dismesse ecc.) e che dialoghi con la campagna, che stabilisca quindi un rapporto fluido dell’abitare con il territorio della produzione agricola; riconsiderare, pertanto, le peculiarità dell’inurbamento.

Oggi si dovrebbero abbandonare le logiche meramente speculative derivanti dalle dinamiche insediative degli anni ’60-70. Andrebbe innescato anche un processo di rigenerazione culturale. Processo complesso perché bisognerebbe guarire dalla sindrome da Mulino Bianco di cui è malata l’Umbria da troppo tempo.

È quindi opportuno determinare i presupposti di base dello sviluppo e della riqualificazione urbana elaborando una visione unitaria dei “nuclei sparsi”, sempre meno sparsi e sempre più nuclei, che li trasformi in degli snodi, veri e propri “neuroni di connessione” delle frange stracciate delle città al fine di poter creare sistemi locali interconnessi ai centri principali dell’Umbria per adeguare la struttura insediativa regionale a questa fase economica che è centrata sulle città.

I centri minori umbri versano in condizioni di notevole crisi, basta fare un giro in Umbria per accorgersene. E non va bene la retorica turistico-vernacolare che in questi luoghi si ha un’alta qualità della vita che in realtà è rifiuto, fuga da situazioni urbane compromesse. È vero, invece, l’esatto contrario, dato che sono la dotazione di infrastrutture fisiche, di insediamenti innovativi, di servizi qualificati, di risorse scientifiche e tecnologiche; sono la facilità di accesso al credito, la qualità del sistema formativo, il know how diffuso, ma anche sistemi di welfare efficienti, la presenza di infrastrutture culturali, ambientali, ricreative e di risorse umane qualificate a costituire l’ossatura di un sistema insediativo, che consenta di ottenere, in modo diffuso, una buona qualità della vita.

Oggi i processi attrattivi hanno subito un vero e proprio ribaltamento e se ieri il benessere del territorio dipendeva dalla presenza delle imprese, oggi è il benessere dell’impresa a dipendere dai caratteri del territorio; di conseguenza la competitività non è più solo tra singole imprese ma anche tra territori Occorre quindi generare un sistema di “urbanità ridotte” che nel suo complesso di connessioni e relazioni fisiche offra tutti i vantaggi imprescindibili dell’ambiente urbano.

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