Climatariani: crescono anche in Italia

Per fare un chilo di manzo si liberano 60 chili di anidride carbonica in atmosfera, per un chilo di anello siamo a 24 kg di Co2, per uno di pesce allevato scendiamo a 5, per uno di pesce pscato a 3. Poi ci sono gli alimenti vegetali: 1,4 kg di anidride carbonica per ogni chilo di grano e pomodori, poco meno di un chilo per i piselli, quattro etti di Co2 per un chilo di mele e tre per i limoni. Tutto questo per dire che essere consapevoli di cosa si porta in tavola ha un grande impatto sul pianeta.

Da questa sintesi partono i climatariani per la loro alimentazione. Sono quelli che, tramite la loro alimentazione, contribuiscono alla lotta contro il cambiamento climatico cercando di ridurre l’impatto ambientale. In Italia questi nuovi amanti di un certo tipo di cibo sono aumento. Il direttore generale di Ancc-Coop, Albino Russo, dice all’Huffington Post: “L’offerta si sta sempre adeguando alla domanda, e in giro per il mondo sono in corso già diverse sperimentazioni”. All’Università di Oxford si sta toccando con mano cosa sono le etichette green che, con un range di colori, indicano l’impatto ambientale del prodotto.

“Già sei anni fa – racconta Russo – a Expo 2015 noi di Ancc-Coop avevamo indicato l’impronta carbonica dei prodotti esposti nel supermercato del futuro che gestivamo”. In Italia si sta insomma provando a fare qualcosa. ‘Climate labeling’ è per l’appunto l’etichetta che riporta tutti i dati che stimano l’impatto dell’intero ciclo vita di un alimento: anidride carbonica emessa, energia impiegata, km percorsi.

Un esperimento interessante, nel nostro Paese, lo sta conducendo Frantoio Muraglia, in Puglia: produce olio extravergine di oliva di altissima qualità e a impatto zero. Compilando un fomr sul loro sito online, si può ricevere tutta la tracciabilità di ogni bottiglia di olio prodotta. Le bottiglie di Savino Muraglia sono oggi sugli scaffali di 40 Paesi.

Nel Regno Unito troviamo Tesco, catena di negozi di generi alimentari. Nel 2007 l’ad promise una rivoluzione nel consumo verde. L’azienda produce etichette di carbonio sui 70 mila prodotti di sua produzione, tra cui succo d’arancia, carta igienica e latte. Negli Stati Uniti Starbucks ha sviluppato un’app per la tracciabilità dei suoi prodotti, H&M ci prova con Loop, macchinario che recupera i filati dei vecchi capi per farne di nuovi, senza utilizzare acqua e additivi chimici. La catena Just Salad ha il menù climate-ecofriendly; la catena di bakery-cafè e fast-restaurant Panera Bread aiuta i clienti a identificare le voci carbon-free. Whole Foods, catena di supermercato con 500 negozi, in Italia presente su Amazon Prime, segnala l’aumento di prodotti confezionati che utilizzano parti trascurate, come gambi, foglie e radici.

A divulgare alcuni di questi dati e notizie è italiani.coop 8, il nuovo strumento di ricerca e analisi curato dall’Ufficio Studi Coop.

“Non è affatto una moda passeggera. Il climate change è un problema che accomunerà la popolazione mondiale nei prossimi decenni e determinerà le nostre scelte alimentari. Si sta andando sempre più verso questa direzione. In futuro, le aziende investiranno in queste certificazioni e l’offerta si adeguerà”.

Anche se, come spiega Russo, costruire la cosiddetta etichetta climatica non è cosa facile. “Bisogna avere una contabilità climatica lungo tutta la filiera. Online si trovano molti counter, che indicano la quota di carbonio emessa, ma si tratta di medie mondiali. È molto più difficile calcolare la quantità di carbonio emessa per singolo prodotto, dove sono presenti anche 20 o 30 materie prime differenti. Tracciare la filiera, avere contezza delle emissioni dei singoli fattori produttivi di quel prodotto, quanta energia, quanto riscaldamento negli stabilimenti, non è facile. C’è chi dice che la blockchain potrebbe aiutare a tracciare questi elementi”.

Uno studio dell’Università di Yale ha fatto sapere che il 30 per cento delle emissioni di carbonio è dovuta a ciò che coltiviamo/mangiamo. Il Rapporto Coop 2021 ha messo in luce proprio come la nuova cultura del cibo, in Italia e specialmente dopo la pandemia, stia passando dal clima: la pandemia ha cambiato le abitudini alimentari di un italiano su due, il 26 per cento della popolazione sta riducendo o eliminando il consumo di carne, e ben il 15 per cento ha affermato di essere “climatariano” nell’ultimo anno. Nello stesso periodo di tempo, 7,4 milioni di italiani hanno dichiarato di seguire una dieta “zero-waste”. 

Gli investimenti su cibi e bevande di prossima generazione sono di 6,2 miliardi e, sulle nostre tavole, tra una decina di anni potremmo trovare cibi a base vegetale con il sapore di carne, cibi a base di alghe, farina di insetti, carne coltivata in vitro. Secondo uno studio dell’Università di Copenaghen, pubblicato su Food Policy, “anche chi si dice poco interessato a conoscere l’impronta carbonica del cibo che mangia, se messo davanti a prodotti analoghi con etichetta climatica, sceglie sempre quello che ha emesso meno CO2 prima di arrivare sullo scaffale”. Una tendenza, dunque, che sembra convincere fino in fondo anche i più indecisi.

Attratti dalla scelta climatariana soprattutto la generazione Z, ovvero chi è nato tra il 1997 e il 2010. Tutti insieme hanno un potere di spesa globale di 1509o miliardi di euro.

Secondo una indagine di Innova Marketing Insights, pubblicata su Food Industry Executive, nei prossimi anni ci sarà un boom di cibi plant-based con una crescita del 20 per cento entro il 2024. Secondo WGSN’s Nielsen, il nuovo trend è il climate smart food: le aziende quindi investiranno nelle certificazioni. Come riporta il Corriere della Sera, secondo Elena Marinoni, Senior Trend Researcher di Nextatlas, una piattaforma di data intelligence,tutto ciò che ruota attorno al Reduce-Reuse-Recycle (cibo sfuso, km zero, pack sostenibili) crescerà del 10 per cento nei prossimi sei mesi. Una recente indagine della no-profit Carbon Trust certificava che oltre due terzi dei consumatori in Francia, Germania, Spagna, Italia, Regno Unito e Usa sarebbero a favore dell’introduzione dell’etichettatura carbonica, che potrebbe migliorare la loro esperienza di acquisto.

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