Noccioleti in Umbria: nuovo accordo con Ferrero per 1.500 ettari entro il 2026

Cresce la filiera del nocciolo in Umbria. Siamo al nuovo obiettivo di 1.500 ettari quando inizialmente si parlava di 700 ettari in cinque anni. Il risultato è stato annunciato durante il convegno ‘Progetto Nocciola Italia – Filiera e aggregazione – Chiave di sviluppo sostenibile’, tenutosi l’8 novembre a Città di Castello.

La filiera del nocciolo, in Umbria, è partita tre anni fa, oggi gli impianti sono una realtà con sempre più imprese agricole che vogliono diversificare la produzione e incrementare il reddito, non spostandosi però da una coltivazione sostenibile, a livello economico a ambientale. L’appuntamento è stato organizzato da Confagricoltura Umbria e da ProAgri. Sono intervenuti Domenico Brugnoni, presidente del Consorzio dei produttori agricoli, Angelo Frascarelli, presidente Ismea, Daniela Farinelli, dipartimento di Scienze agrarie, alimentari e ambientali dell’Università di Perugia, e Fabio Piretta, project manager Ferrero Hco. Moderatore Fabio Rossi, presidente di Confagricoltura Umbria. Conclusioni affidate a Roberto Morroni, assessore regionale alle Politiche agricole e agroalimentari dell’Umbria.

ProAgri, ha ricordato il presidente Brugnoni, con Ferrero Hco firmò il primo contratto che prevedeva di arrivare a 700 ettari di nocciole in cinque anni: oltre ai 500 attuali, saranno messi a dimora altri 100 ettari nelle prossime settimane. Con Ferrero, però, si è arrivati a un nuovo accordo: l’obiettivo è ora di 1.500 ettari di noccioleti entro il 2026. Sempre più ambizioso. Morroni ha così commentato: “E’ un’esperienza che segna la nostra regione dal punto di vista dello sviluppo e che ci porterà tra le prime cinque regioni italiane”. Secondo l’assessore, la filiera del nocciolo “è una delle scelte virtuose che questa regione ha fatto, a cui stanno seguendo quelle dell’olivicoltura, del tartufo e del luppolo. Un percorso che porta a irrobustire la capacità produttiva e a dare sviluppo in generale al settore agricolo che in Umbria ha capacità di crescita, ma solo se saremo capaci di cambiare”.

“Alla luce del biennio di transizione e del PNRR la possibilità di strutturarsi in aggregazioni, che portano maggiori opportunità di sviluppo commerciale, è la sfida che deve raccogliere l’agricoltura” ha commentato Rossi per poi aggiungere: “Il modo di coltivare deve evolversi verso la ricerca e la sperimentazione. Transizione ecologica quindi, ma non solo. Partendo dal fabbisogno del mercato è infatti necessari  organizzarsi per la produzione, per trasformazione e per la commercializzazione per dare una sostenibilità economica alle imprese. I contratti a lungo termine con le multinazionali, come nel caso della Ferrero per il nocciolo, garantisce la collocazione del prodotto e la sua valorizzazione”.

Brugnoni ha evidenziato ancora “sensibilità e lungimiranza” della Regione Umbria: “Ma ora il successo è legato anche all’organizzazione e al supporto tecnico del soggetto gestore che fornisce anche servizi, mezzi tecnici e materiali. Dopo soli tre anni è stato raggiunto un importante obiettivo per l’Umbria”. Secondo Rossi, è necessario “superare il limite della distanza tra impresa agricola e proprietà fondiaria, e su questo stiamo lavorando come filiera visti i tanti campi incolti”. Un mezzo – è stato ricordato – potrebbero essere i contratti di affitto a lungo termine o le associazioni in partecipazione.

Frascarelli, presidente Ismea, ha voluto ricordare come questa realtà aggreghi vari soggetti – produttori, proprietari, tecnici e trasformatori – e come sia candidata al successo: “Anche sfruttando la condizione sociale dell’agricoltura umbra, quella di avere proprietari terrieri senza eredi con terreni non utilizzati”. “Un progetto di filiera – ha spiegato – che sicuramente richiede forte innovazione tecnica e organizzativa. Per un prodotto di qualità con rese interessanti dobbiamo pensare ad una organizzazione che coinvolga tutte le fasi del mercato. Le nocciole in Italia si sono sempre prodotte, con coltivazioni storiche che sono in Piemonte, Lazio, Campania e Sicilia. C’è oggi un forte aumento di domanda e quindi c’è la necessità che aumenti la produzione anche in zone nuove e l’Umbria è una di queste, dove ci sono le condizioni per avere risultati. Per ottenerli occorre crescere in professionalità e organizzazione”.

Frascarelli ha dato anche la sua ricetta su come organizzarsi: la forma organizzativa ibrida scelta dall’Umbria è quella corretta “perché consente di ridurre l’incertezza sia per gli agricoltori che per il trasformatore del prodotto”. “Il contratto – ha sottolineato – è la migliore soluzione per far crescere una filiera in fase di formazione visto che l’investimento fatto oggi porta i primi ricavi dopo 5 anni”.

La formula d’innovazione organizzativa è “vantaggiosa, per avere reddito e successo” e in Umbria può ulteriormente svilupparsi mettendo insieme proprietari fondiari, conduttori di azienda, contoterzisti con forme di compartecipazione e interlocuzioni con le imprese di trasformazione. I contoterzisti potrebbero andare a coprire i vuoti di investimenti e di capacità imprenditoriale per coltivare il nocciolo, come ha spiegato successivamente il presidente dell’Associazione dei contoterzisti umbri, Sergio Bambagiotti.

Nel settore corilicolo, ha commentato la professoressa Farinelli, l’Università di Perugia negli anni si è trasformata in un centro di eccellenza per la sperimentazione: “Crediamo che il nostro territorio sia adatto a questa coltura. Abbiamo sperimentato come mitigare gli stress multipli estivi, studiato noccioleti ad alta densità, come avere piante sane e noccioleti produttivi, proteggendo le piante anche dai cambiamenti climatici. E inoltre abbiamo fatto ricerche su come aumentare il patrimonio varietale, rendere sostenibili queste coltivazioni e ottimizzare l’uso dell’acqua”.

Piretta, per la Ferrero, ha sottolineato l’ambito della ricerca che sta dietro a questo settore e che ‘spinge’, così come la presenza di un consumatore “sempre più attento”. Ecco perché è stata costruita una filiera che guarda ai prossimi 20 anni: “Abbiamo voluto stimolare un allargamento della base produttiva ad altre regioni tramite l’aggregazione. E quella umbra gestita da ProAgri ha fatto sì che ora si possa parlare di rilancio di superficie. Questo significa aver fatto un ottimo lavoro territoriale”.

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