Falso cibo italiano: un mercato da 100 miliardi di euro

Parmigiano Reggiano

A fine agosto, il reparto del Comando Carabinieri per la tutela agroalimentare ha fatto scattare un’operazione in tutta Italia, con denunce e multe per false informazioni e frodi ai consumatori sulla qualità delle materie prime utilizzate, dalla mozzarella alle nocciole, dal falso Grana alla fontina. Inutile dire che si tratta di azioni che danneggiano fortemente i prodotti Dop nazionali.

Solo la Dop economy fa infatti segnare una produzione di 16,9 miliardi di euro e un export di 9,5 miliardi di euro, grazie a 180 mila operatori, secondo elaborazioni Coldiretti su dati Ismea-Qualivita. Nel mondo, purtroppo, esiste l’economia dell’imitazione del prodotto italiano che genera oltre 100 miliardi di euro.

“Gli ottimi risultati dell’attività di contrasto confermano la necessità di tenere alta la guardia e di stringere le maglie ancora larghe della legislazione con la riforma dei reati in materia agroalimentare” dice il poresidente della Coldiretti Ettore Prandini nell’evidenziare che “l’innovazione tecnologica e i nuovi sistemi di produzione e distribuzione globali rendono ancora più pericolose le frodi agroalimentari che per questo vanno perseguite con un sistema punitivo più adeguato con l’approvazione delle proposte di riforma dei reati alimentari presentate da Giancarlo Caselli, presidente del comitato scientifico dell’Osservatorio Agromafie”.
Il patrimonio agroalimentare italiano vale 538 miliardi di euro, offre milioni di posti di lavoro e, proprio nel 2021, ha fatto segnare il record nelle esportazioni con 50 miliardi di euro. L’Italia guida la graduatoria del turismo enogastronomico.

“Dietro ogni prodotto c’è una storia, una cultura ed una tradizione che è rimasta viva nel tempo ed esprime al meglio la realtà di ogni territorio” afferma il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare “la necessità di valorizzare questo patrimonio anche per aumentare la spinta propulsiva del Made in Italy sui mercati esteri”. Una ricchezza da salvare che – precisa la Coldiretti – non ha solo un valore economico ma anche storico, culturale ed ambientale e che garantisce la sopravvivenza della popolazione anche nelle aree interne più isolate.

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