Cibo italiano: è la prima ricchezza del Paese

Il covid ha cambiato le abitudini di tutti: oggi il cibo è la prima ricchezza italiana per un valore del 25 per cento del Pil, pari a 538 miliardi di euro lungo l’intera filiera agroalimentare. Sono quattro milioni i lavoratori impegnati in 740 mila aziende agricole, 70 mila industrie alimentari, più di 330 mila ristoranti e 230 mila punti vendita al dettaglio. I numeri arrivano da Ettore Prandini, presidente nazionale Coldiretti, nell’intervento durante ‘Food Coalition’ dal titolo ‘La sfida della nutrizione in tempo di pandemia’, al Meeting di Rimini. Qui Coldiretti ha aperto il primo salone 2021 dei tesori agroalimentari salvati dall’estinzione grazie all’impegno dei contadini italiani.

Il Made in Italy sta vivendo un’epoca d’ora, con il record storico delle esportazioni alimentari, salite dell’11,2 per cento nel primo semestre 2021. Si punta, per quest’anno, ai 50 miliardi di euro, cifra mai ottenuta in Italia. “Un risultato ottenuto nonostante le difficoltà negli scambi commerciali e i lockdown con il blocco della ristorazione”.

Tra i maggiori clienti di alimenti italiani ci sono gli Stati Uniti, +14,8 per cento. Bene anche la Germania, che è il primo tra i Paesi importatori di Italian food, con un balzo del 6,8 per cento, come la Francia (+6,7 per cento), che si piazza al terzo posto. Al quarto posto resiste la Gran Bretagna, nonostante la Brexit, e un calo del 4,6 per cento. Cresce del 16,5 per cento il mercato russo, quello cinese addirittura sale del 57,7 per cento.

“L’Italia può ripartire dai suoi punti di forza con l’agroalimentare che ha dimostrato resilienza di fronte la crisi con un ruolo di traino per l’occupazione e l’intera economia, per questo abbiamo elaborato e proposto progetti concreti nel Pnrr per favorire l’autosufficienza alimentare e una decisa svolta verso la rivoluzione verde, la transizione ecologica e il digitale con la creazione di un milione di posti di lavoro green entro i prossimi 10 anni” ha affermato Ettore Prandini, nel sottolineare che “per sostenere il trend di crescita dell’enogastronomia Made in Italy serve però agire sui ritardi strutturali dell’Italia e sbloccare tutte le infrastrutture che migliorerebbero i collegamenti tra Sud e Nord del Paese, ma anche con il resto del mondo per via marittima e ferroviaria in alta velocità, con una rete di snodi composta da aeroporti, treni e cargo. Una mancanza che ogni anno rappresenta per il nostro Paese un danno in termini di minor opportunità di export al quale si aggiunge il maggior costo della ‘bolletta logistica’ legata ai trasporti e alla movimentazione delle merci”.

L’Italia ha 504 varietà vitate e 533 varietà di olive, è il primo produttore Ue di riso, grano duro, vino e molte verdure e ortaggi tipici della dieta mediterranea (pomodori, carciofi, melanzane, cicoria fresca, indivie, sedano e finocchi). Primeggia per la produzione di mele, pere fresche, ciliegie e uva da tavola, kiwi, nocciole e castagne. Primati minacciati dalle imitazioni internazionali.

“Servono sistemi di etichettatura trasparenti sull’origine delle materie prime e che non siano ingannevoli e, nello stesso tempo, non possiamo pensare a un modello dove vi sia spazio per l’artificio e i cibi sintetici, dove si assista alla concentrazione eccessiva dei fattori produttivi, dove prevalga l’interesse particolare delle grandi multinazionali che spingono per l’omologazione su un modello in sostanza dove il cibo sia sempre una commodity” conclude Prandini nel sottolineare che invece “con la nostra idea di filiera sostenibile vogliamo affrontare il futuro non solo creando valore economico, ma guardando anche alla sua distribuzione e alla capacità di restituire valori positivi, sotto il profilo ambientale, sociale, territoriale”.

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