Valpolicella doc Superiore: è il prodotto su cui puntare, ma bisogna migliorarne la riconoscibilità

Il Valpolicella doc Superiore, per il 93 per cento dei produttori della Valpolicella, è il prodotto su cui puntare. Lo si scopre dall’indagine interna effettuata dall’omonimo Consorzio di tutela dei vini, che è stata presentata lo scorso 24 giugno in occasione di ‘Valpolicella Superiore – A Territory Opportunity’, evento digitale per produttori, operatori e stampa.

“Vogliamo valorizzare il vino che più si identifica con il territorio – spiega il presidente del Consorzio tutela vini Valpolicella, Christian Marchesini –, a partire dalla ricostruzione di una identità di prodotto e di una vision condivisa tra tutti i produttori. In particolare, un segnale di svolta è dato dall’appassimento: 6 imprese su 10 non intendono farlo, mentre i rimanenti ritengono utile solo un breve passaggio. Complessivamente, il 94% delle aziende rispondenti producono o commercializzano Valpolicella doc Superiore ma, come le stesse aziende rilevano, c’è ancora moltissimo potenziale inespresso, a partire dalla riconoscibilità e dal posizionamento”.

L’inchiesta ha coinvolto un terzo dei produttori/imbottigliatori del Consorzio: per il 62,4 per cento di loro, i consumatori italiani ignorano o quasi il prodotto, si arriva al 70 per cento se si considera anche il mercato estero. Per il 43,6 per cento delle aziende, anche la stampa ha una conoscenza insufficiente, sufficiente per il 41,6 per cento, buona per il 14,9 per cento.

I principali punti di forza del Valpolicella doc Superiore sono il profilo organolettico (52,5 per cento delle imprese per il mercato interno e 46,5 per cento per quello estero), la versatilità di abbinamento (47,5 per cento in Italia e 38,6 per cento per l’estero). Tra gli elementi di debolezza, nel mercato domestico, il 54,5 per cento indica il peso della molteplicità di stili all’interno della tipologia, per il 43,6 per cento la concorrenza di altri vini della Valpolicella (in particolare il Ripasso), il 43,6 per cento la mancanza di un segmento commerciale. Tutti fattori che hanno un peso anche sui mercati esteri.

L’Italia è il primo mercato di sbocco per tre quarti dei rispondenti (l’horeca assorbe l’84,2 per cento delle vendite); la Germania è prima per l’export secondo un quarto delle imprese, poi gli Usa (23,2 per cento) e la Danimarca (17,9 per cento). Al quarto posto, a pari merito, Olanda e Svizzera. Per quel che riguarda gli investimenti futuri, il 50 per cento delle aziende punta a rinforzare la presenza negli Usa, il 31,6 per cento in Germania e Svizzera.

Per quanto riguarda i prezzi, il 38,9% delle aziende posiziona il suo prodotto nella fascia oltre i 10 euro a bottiglia (ex cellar), il 23,2% tra i 6 e gli 8 euro, il 20% tra gli 8 e 10 euro, il 17,9% a meno di 6 euro. Un posizionamento che si conta di migliorare in futuro, con il 44,2% dei rispondenti che aspirano alla fascia oltre i 10 euro, per andare poi a scalare progressivamente nelle fasce di prezzo sottostanti.

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