Sovraistruzione: Umbria maglia nera d’Italia

In Umbria si studia, ma poi l’impiego non paga. Addirittura il 33 per cento dei giovani si ritrova a essere sovraistruito. La regione conquista la maglia nera per numero di lavoratori con un’istruzione superiore all’impiego. Lo fa sapere la Cgia di Mestre, che ha fatto le carte a tutta Italia.

L’Umbria, nel 2019, aveva dunque un lavoratore su tre ‘fuori posizione’, ossia con titolo di studio superiore alla mansione che poi effettivamente svolgeva. A seguire Abruzzo (30,3%), Basilicata (29,4), Molise (27,8), Lazio (27,2). In coda Piemonte (22,2), Lombardia (21,7) e Trentino Alto Adige (19,3). Nell’ultimo decennio, però, proprio il Trentino Alto Adige, con +57 per cento, è stata la regione con la crescita più sostenuta di occupati sovraistruiti, a seguire la Sardegna (+46 per cento) e la Puglia (+45).

Tra i laureati che svolgono un lavoro il cui titolo di studio più richiesto è inferiore a quello posseduto, le professioni maggiormente diffuse sono quelle di tecnico informatico, contabile, personale di segreteria, impiegato amministrativo. Tra i diplomati, invece, barista, cameriere, muratore e camionista.

Paolo Zabeo, coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia, spiega: “L’incremento dei sovraistruiti è in massima parte dovuto alla mancata corrispondenza tra le competenze specialistiche richieste dalle aziende e quelle possedute dai candidati. Non va nemmeno dimenticato che grazie al ricambio generazionale registrato in questi anni, sono usciti dal mercato del lavoro tanti over 60 con livelli di istruzione bassi che sono stati rimpiazzati da giovani diplomati o laureati senza alcuna esperienza professionale alle spalle. Tuttavia, la sovraistruzione non va sottovalutata, perché molto spesso attiva meccanismi di demotivazione e di scoramento che condizionano negativamente il livello di produttività del lavoratore interessato e conseguentemente dell’azienda in cui è occupato”.

Nonostante questo dato, restiamo tra i meno scolarizzati d’Europa. Come precisa il segretario Renato Mason: “L’anno scorso la quota di popolazione italiana tra i 25 e i 64 anni in possesso di almeno un titolo di studio secondario superiore era del 62,2 per cento, un dato inferiore a quello medio dell’Unione a 28, pari al 78,8 per cento e a quello di alcuni tra i nostri principali competitor. La Francia registrava l’80,4, il Regno Unito l’81,1 e la Germania l’86,6 per cento. Non meno ampio è il divario per quanto riguarda la percentuale di coloro che hanno conseguito un titolo di studio terziario sempre nella fascia di età tra i 25 e i 64 anni. Se nel 2019 in Italia la soglia era del 19,6 per cento, la media europea si è attestata al 33,2. Si segnala come la quota di laureati italiani tra i 25-34enni nelle discipline sia simile alla media dei 22 paesi dell’Unione europea membri dell’Ocse”.

Eppure, in piena fase covid, le imprese hanno fatto fatica a reperire le figure richieste. Unioncamere e Anpal hanno registrato il difficile reperimento, ad agosto, del 30 per cento delle 200 mila assunzioni previste. Punte del 39,6 per cento in Friuli Venezia Giulia, del 38,1 per cento in Umbria, del 37,6 in Veneto e del 37,5 in Trentino Alto Adige. Tra le professioni non facili da coprire da segnalare i meccanici artigiani, montatori, riparatori e manutentori di macchine fisse e mobili (53,5 per cento), artigiani e operai specializzati nelle rifiniture delle costruzioni (43,1 per cento) e gli autisti di bus e mezzi pesanti (42,5 per cento).

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