Umbria, Desantis (Ule): “Regione in difficoltà sotto tanti aspetti”

L’Umbria invecchia, il lavoro latita, l’economia sommersa sale. Fabrizio Desantis, segretario nazionale dell’Ule, Unione lavoratori europei, fotografa la situazione regionale. L’incidenza dei giovani tra i 25 e i 40 anni sul totale della popolazione (17,6%) fanno sì che l’Umbria, nel 2019, sia tra le peggiori regioni italiane. “A incidere è sicuramente la flessione degli universitari”. Che non si fermano più in Umbria dopo aver completato gli studi.

Secondo fattore negativo è il lavoro. Pur rimanendo quello indeterminato il principale tipo di contratto (8 su 10), è il lavoro a termine a fare un grande balzo in avanti. Se nel 2018 si registravano 29 mila lavoratori in più in Umbria rispetto al 2004, la metà aveva un contratto a tempo. Il part time è salito infatti dal 58,6 al 70,9 per cento nel lavoro dipendente. “La quota degli occupati a tempo parziale è salita a un quinto del totale: delle 355 mila unità che nel 2018 risultavano occupate, 68 mila hanno un part time”. Particolarmente toccato da questo cambiamento il lavoro femminile: una donna su tre, nello specifico, nel 2018 (più di 50 mila su 155 mila con un lavoro). Aggiungiamo che una su cinque subisce il part time involontario: meno ore a stipendio ridotto.

Desantis si sofferma anche sulle richieste di reddito o pensione di cittadinanza. L’assegno mensile percepito in Umbria è pari a 457,29 euro (a Terni siamo a 502,88 euro, a Perugia a 492,88 euro). Terni è al sesto posto in Italia dietro a Imperia, Vercelli, Alessandria, Pistoia e Torino. Per quel che riguarda la pensione, a Terni siamo a un importo mensile di 214,16 euro, a Perugia di 223,73 euro. Dice il segretario dell’Ule: “Sono 2.851 i nuclei familiari che percepiscono il reddito di cittadinanza. Decisamente meno i percettori per le pensioni: 1.501 i soggetti interessati”.

Tasto dolente umbro è il Pil. Dal 2017 al 2018, con un tasso di variazione dello 0,07%, l’Umbria si piazza al quintultimo posto tra le regioni italiane, ma ultima come intensità tra tutte le regioni con il segno positivo. Si prevede poi una crescita zero per il 2018. Il Pil pro capite nominale dell’Umbria, nel 2018, si stima pari a 25.290 euro contro i 29.218 italiani; l’anno prima, eravamo a 24.936 e 28.687. “Dal 2017 al 2018 il distacco dell’Umbria dai valori medi nazionali aumenta leggermente, mentre è più forte il distacco da Marche e Toscana. Come accade dal 2013, il 2018 riconferma per la regione un livello di reddito a famiglia inferiore a quello nazionale (18.350 contro 18.902), anche per colpa di una crescita nell’ultimo anno dell’1%, la più bassa tra tutte le regioni dello Stivale (Italia 1,9%, Marche 2,2%, Toscana 2,3%)”.

Dal punto di vista della produzione, il 2018 si conferma come un anno a più caratterizzazione industriale per l’Umbria, soprattutto grazie al settore edilizio (5,1% il valore aggiunto generato sul totale, 4,2% quello nazionale). Sul fronte dei servizi, aumenta il contributo della Pubblica amministrazione. Un anno prima, il sistema umbro generava più reddito dalla macchina pubblica (18% del valore aggiunto) che dall’industria manifatturiera (16,5%), mentre i due settori si equivalgono (16,6% e 16,7%).

Ma come detto all’inizio, l’Umbria deve fronteggiare un’emorragia notevole di residenti. Nel 2019, questi ultimi sono diminuiti di 2.625 unità rispetto a dodici mesi prima. L’indice di vecchiaia nel 2018 era al 199,4%, dato di molto superiore a quello nazionale, pari al 168,9%. Il 37,1% delle femmine umbre tra i 30 e i 34 anni ha la laurea, tra i maschi siamo al 18,3%. Eppure, le donne continuano a faticare a trovare poi un impiego. Il tasso di occupazione maschile era pari al 70,9% nel secondo trimestre del 2019, quello femminile si fermava tredici punti percentuali sotto. In provincia di Perugia, nel 2018, c’è stata maggiore disoccupazione (41,1%) rispetto a Terni (34,5%). L’Umbria è undicesima in Italia per Neet, con il 19%.

Desantis chiude la sua disamina: “L’Umbria continua a permanere tra le regioni meridionali per l’economia, secondo gli ultimi dati Istat. L’economia non osservata (sommersa + illegale) vale infatti il 16,4% del valore aggiunto totale (2017); fanno peggio solamente Calabria, Sicilia, Puglia, Campania e Molise”.

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