Industria 4.0, la via americana al nuovo capitalismo

La chiamano l’economia del futuro, e visto che le prime applicazioni concrete riguardano la più grande economia d’oltre oceano, il fenomeno andrebbe visto con un occhio attento anche dalle nostre aziende.

Negli USA, come illustrato in un articolo del “Sole 24 Ore” a firma Paolo Bricco, protagoniste del capitalismo in salsa americana come General Electric, General Motors, Ibm e Google sono impegnate “a cambiare la natura del capitalismo, miscelando il materiale e l’immateriale attraverso l’adozione pervasiva della nuova informatica e il collegamento diretto fra il concept del prodotto e il suo utilizzo concreto da parte del fruitore finale”.

Cosa significa in termini concreti? Sicuramente una diminuzione della base occupazionale della vecchia industria, grazie alla presenza sempre più massiccia della robotica e dell’informatica in processi produttivi altamente complessi. La digitalizzazione di alcuni di questi rende inoltre possibile un rapporto praticamente diretto con il cliente, che vede soddisfatti i suoi bisogni grazie a una domanda individuale che passa per i siti di e-commerce.

Allora è logico domandarsi: perché gli USA sono davanti agli altri? La risposta è semplice: perché investono. Secondo una stima le grandi imprese americane sono pronte a investire fino al 9% del fatturato in ricerca e nuove tecnologie pur di aumentare la produttività e i ricavi in futuro. Ecco allora che ritorna un elemento caratteristico del capitalismo made in USA: la capacità di rischio e la mentalità pragmatica, finalizzata al risultato.

Robotica collaborativa, internet of things, stampa 3D, big data, realtà virtuale sono le espressioni che già sono entrate nel gergo del capitalismo del nuovo millennio. In Italia servirebbe uno sforzo anche in questo senso. Perché senza innovazione non c’è prospettiva di crescita futura.

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