Nel mezzo di un vivace dibattito sollevato da diverse associazioni di categoria riguardo alle condizioni contrattuali prevalenti tra i gestori delle stazioni di servizio, Angac ha espresso chiaramente la propria posizione, distanziandosi dalle recenti affermazioni che etichettano come “nuove” certe forme di contratti atipici. Queste forme contrattuali, in realtà, vedono le loro origini nel 2004 e furono all’epoca introdotte con il pieno consenso delle stesse associazioni che attualmente le contestano, denunciandole come illecite.
Angac sottolinea l’inconsistenza di queste critiche, evidenziando come l’appello unificato proposto non trovi riscontro all’interno dell’intero spettro delle organizzazioni sindacali, dimostrando un approccio demagogico. Tale reticenza nel discutere la problematica per oltre due decenni è attribuita a un desiderio di non disturbare lo status quo. Tuttavia, la situazione ora sembra aver raggiunto un punto critico, con le attuali contestazioni che minacciano di porre fine a una lunga era di prosperità per determinati soggetti.
Tra le varie accuse mosse, spicca quella relativa agli accordi considerati illeciti che avrebbero facilitato un meccanismo di trasferimento dei prezzi, favorendo, in ambito intra-brand, gli impianti sotto la gestione diretta o indiretta delle compagnie petrolifere, a discapito di una leale concorrenza. Angac non ha esitato a denunciare tali pratiche fin dalle loro prime apparizioni.
In conclusione, si rimarca il fondamento su cui si basa la Repubblica Italiana, ovvero il lavoro come pilastro della dignità umana, un principio fondamentale che, secondo Angac, viene compromesso dalle pratiche contrattuali in questione. La difesa dei diritti dei lavoratori rimane al centro dell’impegno di Angac, che si oppone fermamente a qualsiasi forma di violazione in questo ambito.