Confesercenti: aprono sempre meno negozi

Spesa degli italiani per le feste in crescita, anche se l’inflazione gonfia i budget e continua a orientare le scelte delle famiglie. Dopo un anno di alti e bassi, il mese di dicembre dovrebbe chiudersi con il segno più per i consumi, anche se non mancano le criticità per le piccole e medie imprese del commercio. A partire dalla concorrenza dei giganti internazionali dell’ecommerce, quest’anno posizionati per vincere la sfida dei regali di Natale. E pure la ripresa dei consumi del 2024 rischia di essere più lenta delle attese, anche per effetto degli elevati tassi di interesse.

Alla fine del 2023, i consumi delle famiglie italiane dovrebbero segnare un aumento del +1,2%, rispetto al 2022. Un risultato positivo, anche se leggermente inferiore alle attese della Nadef dello scorso settembre e soprattutto dovuto principalmente alla buona performance della prima metà dell’anno: nel confronto con il 2022, i consumi sono cresciuti del +3,7% e del +1,2% nel periodo gennaio-marzo e aprile-giugno, mentre sono diminuiti del -0,2% nel trimestre estivo. In presenza di un’ulteriore caduta reale dei redditi da lavoro (-1,3% nel 2023, che porta a una flessione cumulata del 2,5% rispetto al 2021), la dinamica dei consumi è stata sostenuta dalla forte riduzione della propensione al risparmio, scesa sui livelli più bassi degli ultimi 35 anni. Una condizione che probabilmente verrà meno nel corso del 2024, quando a fronte di elevati tassi di interesse, le famiglie italiane saranno nuovamente indotte ad aumentare il proprio risparmio, con una crescita dei consumi che si fermerebbe di conseguenza allo 0,8%, cinque decimi di punto in meno rispetto a quanto prospettato nella Nadef, pari a 4,2 miliardi di euro.

In questo contesto aprire un negozio è diventata una missione sempre più impossibile. Caro-vita, rallentamento dei consumi e concorrenza della grande distribuzione e del web non accelerano solo le chiusure di imprese nel commercio, ma fanno crollare anche le nuove nascite. Per il 2023 si stima l’apertura di poco più di 20mila attività nel comparto, l’8% in meno del 2022 e il numero più basso degli ultimi dieci anni: nel 2013 erano state oltre 44mila, più del doppio. Una crisi di denatalità che ha falcidiato il tessuto commerciale – in dieci anni, sono circa 108mila i negozi mai nati – e che, senza un’inversione di tendenza, è destinata a continuare: secondo le nostre stime, il numero annuale di iscrizioni di imprese nel commercio dovrebbe scendere a circa 11mila nel 2030.

Per le festività di fine anno, segnali positivi arrivano dal consueto sondaggio Confesercenti-IPSOS sulla spesa per i regali di Natale. In media, i nostri concittadini progettano di spendere 223 euro per i doni da mettere sotto l’albero, il 13% in più dello scorso anno. A dare la spinta, però, è anche l’aumento dei prezzi, infatti, al netto dell’inflazione sui beni, l’incremento di spesa sul 2022 si riduce al +6%. L’inflazione continua ad orientare anche le scelte di allocazione delle risorse, pure se in modo meno pressante dello scorso anno. Gli italiani che dichiarano di voler contenere la spesa per i regali per questo Natale sono il 43%: una quota in diminuzione rispetto al 47% dello scorso anno, ma ancora rilevante. Continua, dunque, la polarizzazione tra chi può e chi non può: a trainare l’incremento del budget medio è infatti l’aumento dei consumatori che manterranno invariata la spesa (che passano al 41%, dal 39% dello scorso Natale) e di quelli che pianificano di spendere di più (17% nel 2023, erano il 14% nel 2022).

Nella top ten delle intenzioni di acquisto per un regalo, spiccano i capi d’abbigliamento (51% delle indicazioni), seguiti dai prodotti di profumeria (45%) e dai libri (44%), giochi e giocattoli (38%), accessori di moda (33%), regali gastronomici (29%), prodotti tecnologici e regali di gioielleria (entrambi al 24%), arredamento e prodotti per la casa, calzature e videogiochi (tutti al 20% di indicazioni). Il 10%, invece, segnala l’intenzione di regalare un viaggio o una vacanza, un dato in ascesa rispetto al 7% dello scorso anno.

Il retail fisico continua ad avere un ruolo centrale negli acquisti di Natale. Crescono le indicazioni per i negozi monomarca delle grandi catene retail (33%, era il 29%), ma anche per i negozi dei centri commerciali, che raccolgono il 52% delle preferenze contro il 46% del Natale 2022. In lieve flessione il canale dei supermercati/ipermercati, che scende al 24% delle indicazioni, e le attività di vicinato (20%). Ma, a sorpresa, si assiste ad una crescita della preferenza per i negozi di quartiere da parte degli italiani tra i 18 ed i 34 anni: la quota dei giovani che comprano qui passa dal 20 al 22%. Il 14%, invece, si rivolgerà ad un mercatino per comprare almeno uno dei regali da mettere sotto l’albero.

È però l’ecommerce il canale d’acquisto che più italiani intendono utilizzare. In crescita la vendita diretta via web, con la quota di chi acquisterà online direttamente dal sito del produttore che sale dal 21 al 23% e, soprattutto, si consolida la prevalenza delle grandi piattaforme di ecommerce, cui intende rivolgersi per comprare un dono il 68% degli intervistati. Lo scorso anno era il 63%. Una posizione di maggioranza che corrisponde a quella che le grandi piattaforme detengono, in generale, nel commercio online.

Secondo i dati forniti a Confesercenti dall’Osservatorio ecommerce B2c del Politecnico di Milano, nel 2023 gli acquisti online degli italiani sono cresciuti del 13% rispetto al 2022, superando i 54 miliardi di euro. Ma la torta va soprattutto ai grandi: i primi 20 merchant realizzano infatti il 71% del mercato, e i primi 250 il 95%. La coda lunga, ossia l’insieme degli operatori dopo la 250esima posizione, è composta da decine di migliaia di siti ecommerce che insieme fatturano meno di 1 miliardo di euro. Complessivamente, 38 miliardi dei 54 complessivi di valore dell’ecommerce sono assorbiti dalle 20 piattaforme principali. Un grado di concentrazione che non ha eguali negli altri canali distributivi. Ma per il 44% deli italiani le piattaforme sono diventate ormai indispensabili, e le imprese del commercio – come quelle del turismo – sono quindi necessariamente obbligate a servirsene (effetto lock-in). Le PMI sono, però, in una posizione di debolezza. I forti vincoli all’attività di impresa imposti dalle piattaforme sono evidenti. Secondo una ricerca INAPP, il margine di intermediazione richiesto è mediamente del 16%, gli incassi intermediati direttamente dalle piattaforme addirittura il 46%. L’81% dei pagamenti intermediati tramite piattaforma è dilazionato nel tempo, con data fissa nel 46% dei casi, e le piattaforme impongono clausole contrattuali unilaterali nel 70% dei casi. Solo un terzo delle imprese ha completo accesso ai propri dati se intermediata dalle piattaforme.

Segnali positivi anche dal turismo. Per il ponte dell’Immacolata dell’8 dicembre, è già stato prenotato il 74% delle camere e strutture disponibili. Un dato in ascesa rispetto al 71% del 2022, nonostante quest’anno la ricorrenza da calendario preveda un giorno in meno rispetto al lungo week end dello scorso anno. Le presenze stimate da CST per Confesercenti tra il 7 e il 10 dicembre sono oltre 4,5 milioni, il 4,3% in più rispetto all’8 dicembre dello scorso anno. Boom di stranieri nel 2023. I dati Istat dei primi nove mesi del 2023 confermano il ruolo trainante del turismo per l’intera economia italiana, con un +6,3% di arrivi e +4,3% di presenze. Il numero di turisti internazionali arrivati nel nostro Paese è aumentato del 14,7% e i pernottamenti che hanno trascorso nelle strutture ricettive sono cresciuti del 10,2%. Un leggero segnale di flessione risulta, invece, per il mercato domestico. Anche per ottobre e novembre, in base ai primi dati disponibili, la tendenza del mercato dovrebbe rimanere immutata: una domanda straniera in crescita che si contrappone al lieve rallentamento dei consumi turistici da parte degli italiani.

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