Istantanea del Parlamento europeo: il settore zootecnico del Vecchio Continente rappresenta il 38,5 per cento di tutto il comparto agricolo, per un valore di 206 miliardi di euro, con 4 milioni di addetti circa. La fotografia è stata scattata durante la presentazione del libro ‘Meats And Cured Meats: The New Frontiers of Sustainability’, a cura di Elisabetta Bernardi, Ettore Capri e Giuseppe Pulina. Volume edito da Franco Angeli, in formato open access, con il contributo di Carni Sostenibili, un’organizzazione no profit che vede tra gli iscritti produttori di carne e salumi italiani allo scopo di promuovere un consumo consapevole e una produzione anch’essa sostenibile degli alimenti di origine animale.
Come riporta Unaitalia,com, l’evento è stato introdotto e promosso da Salvatore De Meo, presidente della Commissione affari costituzionali e membro della Commissione agricoltura del Parlamento europeo. Oltre agli autori, ha partecipato Luigi Scordamaglia, amministratore delegato di Filiera Italia.
“Oggi il settore zootecnico europeo è al centro della sfida ambientale – ha detto nel suo intervento l’eurodeputato De Meo – ma la transizione va perseguita in maniera pragmatica, non impositiva e soprattutto non ideologica. La sostenibilità, che è l’obiettivo verso cui bisogna continuare a tendere, deve necessariamente essere coniugata con lo sviluppo economico e produttivo. Le imprese e i cittadini vanno aiutati e accompagnati sulla strada della transizione verde. L’auspicio è che la prossima legislatura si muova su questa strada, riconoscendo l’enorme valore che tutto il comparto agricolo europeo esprime anche nella lotta ai cambiamenti climatici e alla transizione verde”.
Sull’impatto sull’ambiente è intervenuto Giuseppe Pulina, professore di Etica e Sostenibilità degli allevamenti all’Università di Sassari: “L’intero comparto agricolo in Europa ha ridotto le proprie emissioni di oltre il 18% tra il 1990 e il 2021”. L’agricoltura è l’unica attività dell’uomo che, oltre a emettere carbonio, lo sequestra: “Ma vi è di più” – aggiunge il professore – in questi anni la comunità scientifica e le istituzioni hanno evidenziato la necessità di sviluppare nuove metriche per calcolare le emissioni, capaci di tenere in considerazione la tipologia di gas climalteranti e della loro permanenza in atmosfera”.
Bisogna tornare indietro al 1990: l’Ipcc già allora faceva sapere che tutte le metriche utilizzate fino a quel momento presentavano incertezze e limitazione. Per superare queste incertezze, è stata proposta una revisione totale delle metriche dal team di fisici dell’atmosfera dell’Università di Oxford, con vari articoli apparsi su riviste scientifiche del gruppo Nature: “Così ricalcolate, le emissioni dell’intero settore agricolo europeo peserebbero non l’11,8% (o il 4,6% se compensate dai riassorbimenti), del totale, ma diventerebbero addirittura negative”.
Come si spiega questo fenomeno? “Lo studio dei ricercatori di Oxford prende in considerazione per la prima volta la differenza in termini di azione sul riscaldamento globale tra gli inquinanti climatici a vita breve, quale il metano, e gli inquinanti climatici a vita lunga, quale l’anidride carbonica”, spiega Pulina, sottolineando che “le nuove metriche tengono conto di questa differenza e in particolare di quanto un gas permane in atmosfera, una differenza sostanziale se consideriamo che il metano ha una emivita di circa 10 anni, mentre l’anidride carbonica permane in atmosfera per circa mille anni”.
Elisabetta Bernardi, nutrizionista, biologa e specialista in Scienze dell’alimentazione, ha fatto il punto su carne e nutrizione: “Recenti studi permettono di valutare la qualità delle proteine negli alimenti in rapporto al fabbisogno degli esseri umani. Se è vero che i prodotti di origine animale apportano solo il 18% delle calorie, essi contribuiscono per il 34% delle proteine e per il 55% degli aminoacidi essenziali. Questi ultimi, sono parametri chiave nella valutazione della qualità degli alimenti e, quando viene calcolata l’impronta ambientale di un alimento di origine vegetale o animale, considerando la capacità di questo alimento di coprire i fabbisogni umani di aminoacidi essenziali, l’impronta ecologica degli alimenti di origine animale – sia come uso del suolo, sia come emissioni di gas a effetto serra – è pressoché simile o addirittura inferiore a quella relativa alla produzione di proteine vegetali, ad eccezione della soia, che però non è nella tradizione mediterranea”.
La conclusione: “Recenti studi, inoltre, hanno riabilitato la carne rossa perché esistono limitate evidenze scientifiche e fattori confondenti (bias) fra questo alimento e i rischi per la salute, ed è sempre necessario considerare la dieta nella sua totalità”.
Sulla sostenibilità degli allevamenti italiani è tornato Ettore Capri, professore di Chimica agraria all’Università Cattolica del Sacro Cuore: “Negli ultimi anni abbiamo assistito a una progressiva presa di coscienza del comparto che ha metodicamente provveduto a rigenerare le risorse e a diminuire gli scarti”. L’Italia oggi è il quarto produttore di biogas nel mondo, secondo in Europa subito dietro alla Germania. Nello stesso senso va lo sviluppo delle attività di Carbon Farming: “Si tratta di una serie di pratiche agricole volte alla produzione alimentare – spiega ancora Capri che nel contempo sono in grado di sequestrare con maggiore efficienza il carbonio atmosferico. È un processo naturale ecosistemico che l’allevamento del bestiame intensifica grazie al ruolo primario svolto dalla produzione di sostanza organica da destinarsi al suolo secondo un principio di economia circolare delle risorse e lo sviluppo di comunità energetiche sui territori”.
Nel mondo 1,3 miliardi di persone devono il loro sostentamento esclusivamente grazie alle attività legate all’allevamento. Luigi Scordamaglia, ad di Filiera Italia: “La risposta alla domanda di sostenibilità non può essere quella di smantellare le attività agricole e delegare ai laboratori la produzione di quello che mangiamo. Secondo FAO e OMS esistono almeno 53 potenziali pericoli per la nostra salute legati al possibile consumo di carne artificiale, mancano gli studi necessari che dicano che il consumo di questo prodotto, addizionato di ormoni, antibiotici e antimicotici necessari per farla crescere, non comporti rischi”. Scordamaglia ha aggiunto: “Ci hanno definito oscurantisti, contrari al progresso, soltanto perché abbiamo chiesto un blocco temporaneo di tali prodotti in attesa che si analizzino i reali rischi e si adeguino a tali rischi emergenti, mai visti prima, le procedure di valutazione dell’EFSA che nella loro complessità dovranno essere molto più simili a quelle dei nuovi farmaci che richiedono spesso molti anni per una valutazione completa, che a quelli dei novel food che possono essere autorizzati in pochi mesi”.