Meno donne risultano occupare, rispetto agli uomini, tra coloro che hanno un basso titolo di studio. Quando lavorano, in molti casi fanno ricorso al part-time, non sempre per loro scelta. E comunque, più difficilmente accedono a ruoli dirigenziali. Con il risultato che la retribuzione complessiva delle donne resta inferiore a quella degli uomini.
Il gender gap nel mondo del lavoro resta, nonostante negli ultimi trent’anni siano stati fatti enormi passi in avanti verso la parità di genere nel mondo del lavoro. Lo certifica l’Osservatorio JobPricing, che ha realizzato, in collaborazione con IDEM | Mind the Gap e LHH Recruitment Solutions, il Gender Pay Gap Report 2023.
Meno donne occupate
Le donne occupate – soprattutto le donne non laureate – sono di meno, trovano meno lavoro e tendenzialmente sono meno spinte a far parte della forza lavoro o, volendo cambiare prospettiva, rinunciano a cercare lavoro più facilmente degli uomini, scoraggiate dalla difficoltà a trovare un impiego.
Il part-time
Un altro fattore che condiziona il lavoro e, di conseguenza, i redditi delle donne è il lavoro part-time. Il ricorso al part-time però non sempre è frutto di una scelta volontaria collegata alla necessità di conciliazione tra lavoro e vita familiare e secondo ISTAT, il part-time cosiddetto involontario presenta l’ennesimo gap di genere: viene imposto maggiormente alle donne e, in generale, è più diffuso nei settori ad alta concentrazione femminile quale, ad esempio, i servizi alle famiglie.
Il peso della famiglia
C’è poi una relazione tra il lavoro di cura non retribuito e la partecipazione al mercato del lavoro: quando le donne scelgono di non lavorare, lo fanno anche perché su di loro pesa l’onere di doversi prendere cura della prole o di altri familiari e molto spesso si tratta di una scelta anche economica: se le donne vengono pagate meno degli uomini e se in generale è più probabile che svolgano part-time, allora sarà più probabile che non trovino conveniente iniziare a lavorare a fonte dell’aumentare dei costi relativi alla cura della famiglia (nidi, baby-sitter, etc.).
Meno dirigenti
Le donne nel mondo del lavoro privato rappresentano in ogni caso la minoranza tra i ruoli dirigenziali, ma questa situazione varia in modo sostanziale in base all’area funzionale di appartenenza: le funzioni dove sono più diffuse le donne manager (dirigenti e quadro) sono Auditing, Compliance, Risk management, Legale, Area Tecnica & Ricerca e Sviluppo, Risorse Umane e Organizzazione, Marketing e Comunicazione.
Nel dettaglio, il report indica per l’anno 2022 un pay gap del settore privato (sanità e istruzione private escluse) dell’8,7% sulla Retribuzione Annuale Lorda (RAL) in Full Time Equivalent (FTE), che si estende al 9,6% se si considera la Retribuzione Globale Annuale (RGA).
Le retribuzioni
Questo si traduce in un ritardo retributivo per le lavoratrici italiane che, in altri termini, è come se avessero iniziato a percepire lo stipendio solo a partire dal 2 febbraio, nonostante abbiano lavorato fin dal primo gennaio, creando un gap monetario di circa 2.700 € sulla RAL e di 3.000 € sulla RGA.
Gli effetti sul Pil
Questa situazione non ha solo riflessi individuali, ma comporta un costo enorme per la società e l’economia nel loro complesso. Il mancato impiego di una parte rilevante della potenziale forza lavoro (le donne, appunto) si traduce in una perdita in crescita economica e innovazione per tutta la comunità. A questo proposito, per citare uno dei tanti esempi, l’EIGE stima che raggiungere l’uguaglianza di genere nell’Unione Europea si tradurrebbe in un aumento del tasso di occupazione (+2,1-3,5 punti percentuali in più nel 2050) e del PIL pro capite (+6,1-9,6 nel 2050).
I lavori dove è maggiore il gap
Osservando il pay gap medio per inquadramento contrattuale, il gap più elevato si osserva tra le figure impiegatizie (10,5%) e quello più basso tra le figure di quadro (4,9%). Confrontando i dati del 2022 con quelli degli anni precedenti, si nota un netto miglioramento dei gap salariali tra le figure dirigenziali ed operaie, riconducibili entrambi ai mutamenti occupazionali e retributivi degli ultimi anni.
Il divario cresce in alcuni settori, come in quello dei servizi finanziari, dove le donne arrivano a guadagnare il 17,7% in meno degli uomini, anche a causa della differente composizione occupazionale, ovvero la scarsa presenza di donne dirigenti, evidenziando quindi una segregazione verticale.
L’istruzione
In contrapposizione a questo le donne italiane vantano una maggiore istruzione rispetto agli uomini, con una percentuale del 59,7% di laureate sul totale. Tuttavia, la concentrazione femminile si mantiene alta nelle discipline umanistiche, mentre le discipline afferenti le HARD STEM vedono ancora una scarsa presenza femminile Ma, se come afferma anche l’ultimo rapporto del World Economic Forum, figure che richiedono competenze scientifiche, ingegneristiche e informatiche saranno sempre più richieste nel mercato del lavoro, l’esclusione e l’autoesclusione sistematica delle ragazze da queste discipline è un fattore che potenzialmente incrementerà la disoccupazione femminile e il gender gap di domani.
Nel mondo
A livello globale, la strada verso la parità di genere mostra progressi troppo modesti. Il divario globale è stato colmato al 68,4%, con un incremento di 0,3 punti percentuali rispetto all’anno precedente. A questo passo, secondo il WEF ci vorranno 131 anni per raggiungere la piena parità. A distanza di un anno, quindi, non è stata registrata nessuna accelerazione rispetto all’anno scorso, dove il tempo stimato era di 132 anni.
In questa cornice, l’Italia si posiziona al 79° posto a livello globale e al 21° in ambito UE, dimostrando una dinamica di genere complessa e stratificata.
In Europa
A livello europeo, invece, il 24 ottobre 2023 è stato pubblicato il nuovo Gender Equality Index, elaborato dallo European Institute for Gender Equality (EIGE. L’EIGE posiziona al 13° posto su 27 Stati Membri. Il nostro Paese è il 7° Paese con il miglioramento più importante (+3,2 punti rispetto al 2022), ma la nota negativa più importante riguarda, ancora una volta, la dimensione lavoro: l’Italia resta in ultima posizione, aumentando ulteriormente il divario con la media degli Stati Membri.