Nel 2023 nel Nord Italia, sono state consegnate e lavorate poco meno di 2.800.000 tonnellate di pomodoro pari all’88% dei quantitativi contrattati tra le industrie e le organizzazioni dei produttori agricoli. Il grado brix medio è stato di 4,87, uno dei migliori dell’ultimo decennio, ottimo anche l’indice di pagamento medio, la resa ad ettaro è risultata pari a 71,88 tonnellate, più bassa di due punti di quella del quinquennio precedente.
In realtà, questi numeri nascondono due andamenti tra loro molto diversi. Nelle province occidentali le rese, nonostante le forti grandinate di luglio, sono state ottime; viceversa, nei territori di Ferrara e Ravenna a causa dell’alluvione, delle piogge e del rinvio dei trapianti, sono state le più basse di sempre. Le anomalie climatiche hanno condizionalo pesantemente anche le coltivazioni biologiche, le cui rese sono passate dalle 62,8 tonnellate ettaro dell’ultimo quinquennio alle attuali 47,4. A queste difficoltà Op e industrie hanno reagito istituendo un costante monitoraggio delle coltivazioni e delle consegne allo scopo di minimizzare i danni.
L’Interprofessione ha supportato le parti con report settimanali sulla quantità e qualità del pomodoro consegnato e con la previsione delle produzioni settimanali in base al calendario dei trapianti effettivi. Il 2023 è stato dunque condizionato, oltre che dagli aumenti dei costi di produzione internazionali, dalle pesanti conseguenze delle anomalie del clima. Una condizione che, in forme più lievi, ha riguardato anche altre aree del Paese dal momento che la produzione nazionale è stimata in calo di 4 punti sulla media dell’ultimo triennio. E questo mentre nel resto del mondo le superfici e la produzione aumentano. Il Wptcm (World Processing Tomato Council) ha stimato una produzione globale 2023 di 44,5 milioni di tonnellate, con un aumento, su base annua, del 15%, trainato da California (+21%) e da Cina (+ 29%). Quest’ultima ha anche aumentato le esportazioni di derivati del 36%, superata solo dall’Iran che ha fatto un + 88%.
Questo ci dice che per conservare nei prossimi anni la leadership italiana nella produzione e nell’export dei derivati dobbiamo reagire tempestivamente ai cambiamenti in atto nel clima, nella concorrenza internazionale e nei mercati di riferimento, affrontando di petto tre questioni essenziali: l’adeguamento delle infrastrutture irrigue e delle conoscenze scientifiche-agronomiche affinché agricoltura e cambiamento del clima, in particolare la ricorrente siccità, possano convivere; una puntuale programmazione concordata tra le parti delle quantità e dei profili qualitativi richiesti effettivamente dai mercati di riferimento e, non ultimo, un immediato adeguamento della disciplina europea delle importazioni di derivati extraeuropei che attualmente consente l’ingresso in Europa di derivati a basso costo che sono tali solo perché non chiamati ad osservare gli standard ambientali e sociali giustamente imposti dalla Ue alle produzioni continentali. Una concorrenza sleale inaccettabile perché irrispettosa della reciprocità, dannosa per produttori e consumatori europei.