“Mi sento un pazzo visionario? Sì. Ma per me è un complimento”. Franco Chianelli è uno dei fondatori del Comitato per la vita Daniele Chianelli, il figlio morto da bambino per leucemia. Il grande dolore è stato trasformato in spinta per costruire, aiutare, dialogare. E scrivere. Come l’ultimo libro, ‘Il coraggio di chi ha perso. La storia e la vita di un pazzo visionario’. “Nasce per illustrare 33 anni del reparto di Oncoematologia pediatrica a Perugia. Per mettere in evidenza le difficoltà delle famiglie, dei genitori alle prese con le malattie dei bambini. Per far presente l’importanza del centro di Perugia, che ha rilevanza internazionale. Qui vengono curati i tumori del sangue ad altissimo livello”.
Racconta la genesi del titolo: “Io avevo pensato a ‘I sogni di un pazzo visionario’, ma quando ne ho parlato a mia figlia mi ha suggerito di chiamarlo ‘Il coraggio di chi ha perso. La storia e la vita di un pazzo visionario’ e allora ho portato le due opzioni in assemblea e, a sorpresa, in 49 su 50 hanno votato per il titolo suggerito da mia figlia. Solo io ho votato per quello iniziale”.
Perché pazzo visionario dovrebbe essere un complimento? “Perché abbiamo fatto cose per cui anche gli amministratori hanno pensato che fossi pazzo. In occasione dei 25 anni di attività, la professoressa di Ematologia Cristina Mecucci – oggi nel Consiglio superiore della sanità – mi definì proprio così, associandomi al professor Martelli, che ha inventato il reparto perugino e che è stato il primo a effettuare un trapianto di midollo tra consanguinei. Ecco perché per me è un complimento”. Chianelli si sente anche tale: “Oggi stiamo ampliando il residence, che poi in realtà è una residenza speciale per pazienti in terapia ambulatoriale, di 20 appartamenti. Ma quando iniziai, tre anni fa in pieno periodo covid, fu davvero da pazzi e visionari richiedere un mutuo di 4 milioni. Per me e per noi, però, conta prima di tutto la salute dei pazienti; oggi si pensa sempre meno a loro e sempre più agli interessi propri, c’è egoismo e manca l’empatia da parte di chi dirige verso il paziente”.
E ancora: “Ma questa ‘follia’ fu tale anche quando iniziammo a costruire un intero piano di Ematologia, con 50 camere. Tra l’altro, all’epoca a Perugia fu ricoverato anche il giocatore della Juventus Andrea Fortunato, malato di leucemia, dopo che era stato mandato prima in America e poi rimandato in Umbria. Per noi fu grande motivo di orgoglio che si decise di far curare il giocatore proprio a Perugia. Poi è nato il residence e il Creo, il Centro di ricerche emato-onologiche. Io andai dall’assessore regionale dell’epoca a illustrare i progetti e quando uscii, mi disse: questo è matto. L’ha detto proprio nel libro. Sicuramente potevano sembrare investimenti troppo grandi per un’associazione così piccola, ma questa forza per andare avanti ci è venuta dai tre anni con croce sulle spalle, mie, di mia moglie e della mia famiglia, oltre che naturalmente e soprattutto su quelle di mio figlio”.
Chianelli è sicuro che il seguito che ha avuto sia nato da due fattori: “Innanzitutto i risultati hanno smosso le coscienze. Si è visto che dalla leucemia si può guarire, oggi la percentuale è del 75 per gli adulti e del 90 per cento per i bambini. Poi hanno visto tutti quello che è stato fatto e che si sta facendo. Abbiamo un grande sostegno: ci sono assistenti speciali, mediatrici culturali, psicologi, musicoterapisti, arteterapisti, clown, insegnanti di arti marziali, la scuola in ospedale. È tutto un gruppo che lavora al fianco dei medici e delle istituzioni per stare vicino ai malati, che non abbandoniamo neanche quando escono dall’ospedale”.
Il simbolo del Comitato è un gabbiamo che spiega le ali: “Com’è nato? Andammo dal notaio e dovevamo trovare un marchio per l’associazione. Allora ci recammo nello studio del maestro Venanti, mancato purtroppo quest’anno, e lui prese un cartoncino azzurro e uno bianco, da cui ritagliò un gabbiano che attaccò sul cartoncino azzurro. Così è nato. E il maestro Venanti non si può assolutamente dimenticare, è stato anche lui un nostro sostenitore”.
I sogni continuano a essere tanti: “Quello per cui abbiamo iniziato: veder tornare tutti i bambini guariti a giocare e con futuro davanti pieno di salute. Io poi spero che finisca questa maledetta guerra perché non se ne può più. Si fa tanto per salvare la vita a un bambino, a un adulto o a un anziano e poi ne vedi uccidere migliaia. La speranza è anche questa. Investiamo nella salute delle persone. In Italia, ci sono oltre 459 diagnosi di tumore al giorno. Se ci guardiamo intorno, in ogni famiglia, almeno 1-2 componenti hanno una qualche malattia. Nel nostro Paese, la statistica dice che uno su quattro ha un tumore. C’è sicuramente chi è maggiormente predisposto, ma contano anche le cose che mangiamo, che beviamo e che respiriamo. Stiamo creando le malattie non rispettando l’ambiente e pensando solo ai profitti. Dobbiamo ragionare anche sul clima, sui cambiamenti climatici con eventi sempre più estremi. La natura, quando si scatena, è incontenibile”.