Un piano per recuperare i 25mila ettari di uliveti abbandonati dell’Appennino dell’Italia centrale, dove, con 207mila ettari tra Umbria, Toscana, Marche e Abruzzo, si produce il 21% dell’olio italiano.
Se ne รจ parlato nel convegno che si รจ svolto a Casoli, in provincia di Chieti, organizzato dallโAccademia Nazionale dellโOlivo e dellโOlio con il sostegno della Pieralisi, di cui dร notizia Olionews.
Solo in Abruzzo, รจ stato calcolato, 5mila ettari di oliveti potrebbero essere recuperati, cosรฌ da aumentare, in 5 anni, la produzione media annuale olearia del 40%.
Un’occasione per rilanciare la produzione italiana olearia, negli anni Settanta la principale al mondo e oggi scivolata al terzo posto in Europa, dietro Grecia e Spagna e quarta prendendo in considerazione tutti i continenti, dopo il sorpasso della Turchia. E con l’insidia di Paesi come la Tunisia, il Marocco e il Portogallo che stanno investendo molto in questo settore.
E invece in Italia i dati cominciano a peggiorare, tanto che nell’ultimo anno la produzione nazionale ha coperto appena il 48,2% del consumo, con le importazioni che hanno raggiunto il record storico di 2,2 miliardi di euro.
Di fronte a tutto questo, nel convegno di Casoli sono state affrontate problematiche tecniche, agronomiche e commercialiย dei sistemi olivicoli caratterizzati da spinta frammentazione fondiaria, da localizzazione prevalente in aree diverse dalla pianura irrigua, da un elevato valore paesaggistico ed ambientale e composti prevalentemente da varietร autoctone.
Coordinati dal presidente dellโAccademia Riccardo Gucci, sono intervenuti i docenti universitari Rossano Pazzagli, Enrico Maria Lodolini, Franco Famiani, Maurizio Servili, Angelo Cicchelli. Con loro Antonio Giampaolo del Crea, il prof. Silvero Pachioli e Mauro Meloni del Ceq.
L’inversione di tendenza puรฒ arrivare dalla riconversione e ristrutturazione degli impianti, favorendo meccanizzazione e incremento delle aziende. Ma anche recuperando le produzioni delle colline appenniniche, anche attraverso gli incentivi comunitari. Un recupero che, oltretutto, aiuterebbe anche l’economia delle aree interne.