Saldi invernali, a Torino bilancio amaro

negozi saldi

Affari in calo per i saldi invernali a Torino, con una riduzione delle vendite del 10% rispetto allo scorso anno, con punte del 15% in periferia. A tracciare un bilancio, alla vigilia della chiusura dei saldi invernali (che terminano il 2 marzo) è Confesercenti. Che indica nella crisi economica e nell’inflazione le principali cause di questo calo.

Neppure le temperature miti di questo inverno hanno giovato, tanto che i prodotti meno venduti sono stati i capispalla: cappotti, giacconi, giubbotti e giacche fanno registrare un -20%. Un po’ meglio le calzature, per le quali si riscontrano perdite più contenute: -5%.

“È stata – afferma Micaela Caudana, presidente di Fismo-Confesercenti, l’associazione dei commercianti abbigliamento e calzature – una delle stagioni peggiori degli ultimi anni: subito dopo la pandemia avevamo riscontrato una ripresa, ma ora siamo tornati alla calma piatta. Ma le difficoltà – precisa – non sono limitate ai saldi. Purtroppo, è almeno dall’autunno scorso che le vendite vanno a rilento, comprese quelle del periodo natalizio: negli ultimi tre mesi del 2023 sono diminuite di almeno il 10%. Molti di noi hanno retto alle difficoltà soltanto perché non hanno mai cessato di praticare sconti dal periodo del black friday in poi, ma ciò ha drasticamente ridotto i nostri guadagni. D’altra parte, solo così abbiamo potuto far fronte alle spese di gestione e ai pagamenti dei fornitori. Questa flessione prolungata della spesa è un fenomeno soltanto torinese: i colleghi di altre città, Milano prima di tutto, mi raccontano di risultati ben più soddisfacenti dei nostri”.

La riduzione delle vendite (compreso il “polmone finanziario” tradizionalmente rappresentato dai saldi) e dei margini comporta per le imprese minore liquidità da destinare agli acquisti futuri. “Molti esercenti – confermano gli agenti di commercio associati alla Fiarc-Confesercenti – stanno limitando gli ordini per la prossima stagione autunno-inverno (che si fanno in questo periodo), sia a causa della scarsa disponibilità di denaro, sia perché una parte della merce è rimasta invenduta, sia perché temono che il trend negativo dei consumi non sia finito: ci aspettiamo una contrazione del 20% degli ordinativi. Il che provoca un danno anche a noi, che incasseremo meno provvigioni”.

I problemi del settore

I problemi del settore si sono manifestati in misura più acuta negli ultimi mesi, ma vengono da lontano, spiega Confesercenti. In poco più di dieci anni a Torino e provincia è sparito un negozio di abbigliamento su tre. In città erano 2007 nel 2009 (3874 con la provincia) e ne sono rimasti 1411 a fine 2022 (2678 con la provincia): un calo del 30%, di oltre dieci punti superiore a quello registrato dall’insieme delle attività di vendita nello stesso periodo. I due anni centrali del Covid (2020 e 2021) hanno particolarmente accelerato il ritmo delle chiusure: fra il 2019 (anno precedente alla pandemia) e il 2022 (anno di uscita dall’emergenza) si è verificato un calo dell’8,3% in città e del 7,5% in provincia, rispetto a un calo complessivo del commercio inferiore al 3%. Fra il 2021 e il 2022 la diminuzione si è attestata sul 4% circa, anche in questo caso maggiore del dato generale.

“Questi numeri – conclude Giancarlo Banchieri, presidente di Confesercenti – confermano l’allarme che abbiamo più volte lanciato sul pericolo di una progressiva desertificazione commerciale delle città. Se davvero si ritiene che negozi e mercati le rendano vive, sicure e attrattive, essi vanno aiutati concretamente: troppo spesso la politica se ne dimentica, nonostante le molte affermazioni di principio Invece è necessario intervenire prima che sia troppo tardi: l’alternativa è avere centri cittadini privi delle attività commerciali tradizionali e solcati soltanto dai furgoncini delle grandi piattaforme del web”.

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