Il Rapporto regionale Pmi 2022, realizzato da Confindustria e Cerved, in collaborazione con Unicredit e Gruppo 24 Ore, analizza gli andamenti e le prospettive delle 160 mila piccole e medie imprese italiane che generano un valore aggiunto complessivo pari a 204 miliardi di euro. Lo studio tiene conto del conflitto russo-ucraino e della persistenza dei rincari sul mercato delle materie prime e analizza l’esposizione delle Pmi ai rischi climatici, ambientali e di transizione nelle diverse regioni.
La diffusione della pandemia ha interrotto la lenta ripresa delle Pmi italiane che nel 2020 hanno visto calare i loro fatturati dell’8,6%. La diversa intensità degli impatti della pandemia riflette la profonda eterogeneità del nostro tessuto produttivo e le differenti esposizioni delle economie locali. La macroarea più colpita è stata il Centro Italia, penalizzata dalla specializzazione in settori fortemente colpiti dalle restrizioni sanitarie, fermi o con forti perdite nel corso dell’anno (turismo, alberghi, ristorazione, sistema moda, concessionari autoveicoli). L’area geografica che fa registrare il calo più marcato di Pmi è sempre il Centro (-6,6%), Il calo di numerosità di Pmi si estende a tutte le regioni eccetto il Molise (+0,6%). Gli impatti più severi si verificano in Abruzzo (-8,7%).
Cerved ha definito uno score che misura il grado di esposizione delle imprese italiane al processo di transizione. A livello complessivo, le Pmi che operano in settori a rischio di transizione alto o molto alto sono poco più di 16 mila (il 10,6% del totale), impiegano 478 mila addetti (l’11,0%) e presentano un’esposizione verso il sistema creditizio di oltre 44 miliardi (il 17,1%). I dati sull’incidenza territoriale delle attività a rischio di transizione riflettono la diversa specializzazione produttiva delle economie locali. Il Sud Italia è l’area geografica più esposta, con circa 127 mila addetti coinvolti (14,7%), seguita dal Centro (10,9%) e Nord-Est (10,1%), mentre il Nord-Ovest è l’area che evidenzia le incidenze più basse (9,6%). Un’analisi di dettaglio sui bilanci delle circa 16 mila Pmi a rischio transizione evidenzia che quasi i due terzi di queste (10.588) non possiedono una struttura finanziaria adeguata ad affrontare eventuali investimenti di riconversione in condizioni di equilibrio finanziario.
La distribuzione geografica delle tre diverse componenti del rischio fisico riflette l’eterogeneità del territorio italiano, con forti differenze a livello regionale dove è evidente l’alto rischio sismico nella Regione Abruzzo.
Il miglioramento delle prospettive economiche seguito al superamento della fase più acuta della pandemia si è riflesso nel 2021 anche sugli indicatori congiunturali dello stato di salute delle Pmi, come i tassi di natalità, le chiusure di impresa, le abitudini di pagamento e gli score creditizi. A livello territoriale, tra 2020 e 2021 il miglioramento più marcato si osserva nel Mezzogiorno (dal 18,7% al 14,6% di Pmi a rischio), con la minor distanza rispetto ai livelli del 2019 (+1,7 punti percentuali).
In Abruzzo la diminuzione del rischio passa dal 18,2 al 12,8%.
Nel 2021 le stime sui conti economici delle piccole e medie imprese fanno emergere i primi segnali di ripresa, certificati anche dalla tenuta complessiva degli indicatori di stabilità finanziaria. Sulla base delle stime, il fatturato delle Pmi italiane è previsto in crescita dell’8,1% su base annua. L’incremento dei ricavi, seppur significativo, non basta però a colmare il gap accumulato rispetto al periodo pre-Covid (-1,2% rispetto ai livelli del 2019). A dare impulso al forte recupero dei margini sono, da un lato, le ottime performance in termini di crescita del valore aggiunto registrate soprattutto nelle costruzioni e nell’industria e, dall’altro, la dinamica di contenimento dei costi del personale e dei servizi seguita alla fase recessiva.
Le tensioni geopolitiche, economiche e commerciali associate al conflitto in Ucraina (sanzioni, incertezza dei traffici, restrizioni al commercio ecc.) si stanno trasmettendo al nostro sistema produttivo attraverso una serie di effetti. In base alle previsioni, il processo di recupero delle Pmi italiane potrebbe subire un rallentamento nel prossimo biennio. Nello scenario “base”, i livelli pre-Covid saranno recuperati in tutte le aree già a partire dal 2022, nonostante una decelerazione su base annua del tasso di crescita dei ricavi (+2,4% nel 2022 e +2,0% nel 2023). Al termine del periodo di previsione, l’area che crescerà maggiormente rispetto ai livelli pre-Covid è il Mezzogiorno (+3,8%), mentre il Nord-Ovest farà registrare il rimbalzo più contenuto (+2,4%).
Nello scenario “worst” la dinamica di ripresa dei ricavi delle Pmi potrebbe subire invece un netto arresto, per effetto di una scarsa crescita nel 2022 (+0,6%) e di una contrazione nel 2023 (-0,5%), che allontanerebbero il recupero dei valori persi durante la pandemia (-1,5% rispetto al 2019). Il Centro ritornerebbe ad essere l’area della Penisola più colpita (-1,9%). In entrambi gli scenari, dopo il calo della rischiosità osservato nel 2021, la quota di Pmi a rischio torna a risalire. Il Centro Italia si conferma l’area più esposta.
Il presidente di Confindustria Abruzzo, Marco Fracassi, a commento del Rapporto appena presentato, dice: “I dati da una parte dimostrano, ancora una volta, come le Piccole e Medie Imprese abruzzesi abbiano una specifica vitalità e capacità di resilienza agli scenari più gravi, dall’altra evidenziano la perdurante fragilità del sistema produttivo regionale, anche in relazione alle altre regioni italiane, che sconta gravi e antichi deficit strutturali e infrastrutturali. In questo quadro Confindustria sottolinea come sia necessario agire con interventi diversificati – sia a livello europeo e nazionale che regionale – volti al sostegno della competitività delle imprese, in particolare quelle abruzzesi. Sono indispensabili strumenti per potenziare la struttura finanziaria e la patrimonializzazione delle imprese e rilanciarne gli investimenti, per favorire un percorso di crescita e di innovazione che coinvolga anche il capitale umano nell’adeguare le competenze alla forte accelerazione nell’utilizzo delle nuove tecnologie digitali”.
“Anche nella nostra regione, inoltre, è sempre più determinante l’efficienza della pubblica amministrazione. Aspetto cruciale, questo, in particolare per l’attuazione del Pnrr, di cui la nostra Regione non può fare a meno. Con riferimento alle esigenze energetiche, i maggiori costi energetici subiti dalle imprese stanno producendo effetti preoccupanti sulla loro tenuta e sulla loro capacità di continuare a produrre. E’ un problema che assume dimensioni ancor più preoccupanti per le Pmi, rispetto al quale sono necessarie misure straordinarie e strutturali, nell’ambito della politica di coesione territoriale 2021-2027 della Regione Abruzzo, che le accompagnino nella transizione energetica e ambientale.