Peste Suina Africana: è arrivata in provincia di Rieti

Cinghiale peste suina

“Serve un cambio di passo, subito un deciso piano di contenimento dei cinghiali e sostegni economici alle aziende del comparto. Serve mettere in campo azioni efficaci e permanenti di eradicazione del cinghiale utilizzando squadre volontarie ma è anche giunto il momento di fare ricorso a personale esperto di caccia appositamente incaricato”.

Due nuovi casi di peste suina africana sono stati registrati in un piccolo allevamento nella zona rossa, in provincia di Rieti, dunque al confine con l’Umbria. E Confagricoltura Umbria ha deciso di far sentire la sua voce dopo la notizia arrivata dall’Istituto zooprofilattico. Siamo davvero alle porte dell’Umbria: “Un episodio grave che mette a rischio la filiera suinicola regionale e nazionale, frutto della disattenzione con la quale l’emergenza PSA è stata affrontata fino ad oggi. L’ingresso del virus nell’allevamento vicino a Roma poteva essere evitato con misure adeguate, incisive e tempestive”.

Confagricoltura fa sapere che bisogna già contenere i danni, provocati dalla sola notizia che la diffusione del virus tra gli allevamenti è in grado di produrre, anche in Umbria.

“Non sono sufficienti gli interventi sin qui attivati – sottolinea Confagricoltura Umbria – che denotano lo sforzo della Regione Umbria di adottare strumenti efficaci a norme costanti. Questo significa che il commissario straordinario deve adottare efficaci disposizioni in deroga alle attuali norme sulla caccia e sulla protezione delle specie”.

Prosegue Confagricoltura: “Nelle aree dove sarà necessario eliminare il cinghiale, che dal punto di vista demografico è presente in numeri enormemente superiori a quanto previsto dall’equilibrio ecologico, è necessario che tali attività siano consentite anche in battuta e non solo con la tecnica dell’aspetto e della girata. Tutte e tre le tipologie di intervento debbono poter coesistere ed essere adottate per 12 mesi l’anno per i prossimi tre anni. E ciò deve essere reso possibile in quanto non si tratta di caccia al cinghiale, attività peraltro che deve essere limitata alle sole zone vocate e con settori assegnati a rotazione alle squadre di cacciatori”.

“Tutto questo ci porta a dire che gli strumenti evocati oggi diventano essenziali per ricondurre la specie cinghiale in equilibrio ecologico, salvaguardare allevamenti e industrie della trasformazione, economia di importanti città come Norcia. Tutto questo porterà a salvare i raccolti dalla devastazione dovuta a questa specie e ridurre drasticamente gli incidenti che purtroppo seminano vittime umane”.

“Le stesse tecniche di trappolamento forse, oltre ad alimentare filiere tracciate della carne e dei prodotti a base di cinghiale, potrebbero servire abbinati alla realizzazione di ampie zone recintate in area boscata, a contenere in questi contesti il cinghiale e assegnarne la gestione di chi ha interesse alla caccia come attività ludica con i proprietari di dette aree”.

Fondamentale è il rilancio di un piano di contenimento delle comunità di cinghiali allo stato brado, primo veicolo della malattia. Parallelamente, urgente è riconoscere gli indennizzi adeguati agli allevatori colpiti; infine, dare seguito agli incentivi destinati agli investimenti in materia di biosicurezza.

Da quando lo scorso gennaio è stato ritrovato il primo cinghiale affetto da Psa, l’export suinicolo italiano ha subito danni quantificabili in 20 milioni di euro al mese. Con un export pari a 1,5 miliardi di euro nel 2021, il volume di affari totale arriva a sfiorare gli 11 miliardi. L’intera filiera genera un fatturato pari al 5 per cento del totale della produzione agricola nazionale e sul fatturato dell’intera industria agroalimentare italiana.

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