Lavoro nero e caporalato: Cgia di Mestre, fenomeni preoccupanti in agricoltura

Hanno assunto dimensioni preoccupanti, nell’agricoltura, il lavoro nero e il caporalato. In Italia, sarebbero 200 mila le persone vulnerabili, ossia i braccianti costretti a lavorare in condizioni di grave sfruttamento. La diffusione dei fenomeni è un po’ in tutta Italia, con prevalenza al Sud.

Secondo l’ufficio studio della Cgia di Mestre, dei più di 3,2 milioni di lavoratori irregolari, quelli sfruttati da organizzazioni criminali o caporali sono la minoranza. La pandemia, però, ha decisamente peggiorato la situazione. Anche l’Istat, che stima in 3,2 milioni i lavoratori irregolari, probabilmente sottovaluta i numeri reali.

La maggioranza degli irregolari lavora autonomamente: sono coloro che ogni giorno si recano nelle abitazioni delle persone per fare lavori di riparazione, di manutenzione, per servizi alla persona. E questi non sono alle dipendenze di imprenditori aguzzini o caporali. Provocano però danni economici notevoli. Sono per la maggioranza pensionati, dopo-lavoristi, inattivi, disoccupati o persone in Cig che così arrotondano le magre entrate. A rimetterci non sono solo le casse dello Stato o dell’Inps, ma pure le attività produttive e i servizi, le imprese artigianali e quelle commerciali che sono regolarmente iscritte alla Camera di Commercio e che subiscono la concorrenza sleale.

I lavoratori in nero non ricevono i contributi, né sono assicurati o pagano le tasse, dunque beneficiano di un costo del lavoro molto inferiore e quindi possono praticare un prezzo finale al consumatore molto contenuto. Chi invece rispetta la legge non può praticare le stesse condizioni.

Il lavoro nero, in Italia, produce 77,7 miliardi di euro di valore aggiunto. La Lombardia, nonostante conti oltre 504 mila lavoratori irregolari, è il territorio meno interessato da questo fenomeno, con il tasso di irregolarità pari al 10,4 per cento, mentre l’incidenza del valore aggiunto prodotto dal lavoro irregolare sul totale regionale è del 3,6 per cento: il più basso presente in Italia. Subito dopo c’è il Veneto (3,7 per cento), la provincia autonoma di Bolzano (3,8) e il Friuli Venezia Giulia (3,9). Dall’altra parte della graduatoria troviamo la Calabria (135.900 lavoratori irregolari, ma tasso di irregolarità del 22 per cento e incidenza dell’economia prodotta dal sommerso sul totale regionale del 9,8 per cento). Non buona neanche la situazione in Campania, con 361 mila occupati in nero, tasso di irregolarità del 19,3 per cento e un Pil da mercato irregolare dell’8,5 per cento. Preoccupa pure la Sicilia: 283 mila lavoratori irregolari, tasso di irregolarità del 18,7 per cento e valore aggiunto dell’economia sommersa su quello ufficiale del 7,8 per cento.

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