Erba medica: Aife, incontro a Rimini dopo due anni di pandemia

Dopo due anni di stop, causa pandemia, i produttori di erba medica associati ad Aife/Filiera Italia Foraggi, sono tornati a incontrarsi di persona, lo scorso 17 dicembre, al Centro Congressi del Grand Hotel di Rimini.

A fare gli onori di casa il presidente Gianluca Bagnara, nei giorni scorsi eletto alla vice presidenza della Rete internazionale per la biodiversità del suolo della Fao, e il vice Riccardo Severi. All’incontro hanno partecipato Paolo De Castro, vice presidente della Commissione Agricoltura e Sviluppo rurale a Bruxelles, Maria Teresa Pacchioli, ricercatrice del Centro ricerche produzioni animali (Crpa) di Reggio Emilia e Angelo Frascarelli, presidente neo eletto di Ismea.

“Nonostante le difficoltà imposte dalla pandemia – ha introdotto Bagnara – la nostra attività in questi due anni non si è mai fermata e anzi ha avviato progetti importanti che non solo puntano a valorizzare l’erba medica e le foraggere prodotte in Italia, ma intendono caratterizzarle proprio come un valore in sé. Per questo è nato il progetto MediCarbonio, finalizzato a stabilire insieme al Crpa, nostro partner scientifico, gli standard per la corretta valutazione dell’impronta del carbonio nei terreni coltivati a erba medica della Romagna, a cui si aggiunge il recente via libera del ministero della Transizione Ecologica per la certificazione made green in Italy destinata a premiare le aziende produttrici più virtuose, documento rispetto al quale stiamo predisponendo il protocollo applicativo”.

“Abbiamo costituito un Gruppo scientifico a cui collaborano i più illustri professionisti del settore – gli ha fatto eco Riccardo Severi – Avviato il censimento con i mangimisti sull’uso del foraggio in pellet essiccato, inoltrato la richiesta di sostegno legata al costo dei containers che negli ultimi mesi ha registrato aumenti vertiginosi; abbiamo avuto contatti con Enel per portare avanti il progetto Agri-Energia e ci siamo incontrati con i vertici del Gruppo GranLatte per verificare la possibilità di avviare una comunicazione di filiera legata al tema ambientale. Non tutte le iniziative sono in fase avanzata – ha sottolineato Severi – ma le basi che abbiamo gettato sono sicuramente impostate verso una loro definizione positiva”.

Non è stato tralasciato un argomento caldo di questo fine 2021, l’aumento del costo delle materie prime e dei trasporti; si è discusso anche della nuova Pac, che entrerà in vigore a inizio 2023 ed è una sfida e una grande opportunità insieme: “La grande novità introdotta dalla nuova Pac riguarda la parte legata all’ambiente – ha sottolineato nel suo intervento da Bruxelles Paolo De Castro – che attraverso l’introduzione degli ecoschemi potrà delineare prospettive molto interessanti per le produzioni foraggere, dotate di tutti i requisiti richiesti dalla sostenibilità. Anche per la Pac 2023-2027 la dotazione finanziaria sarà importante e insieme alle risorse previste dal Piano nazionale di ripresa e resilienza diventerà ancor più significativa. Certo, con la redistribuzione ci sarà chi perde e chi guadagna e tra i primi la più colpita sarà la zootecnia. Anche per questo sarà importante intercettare tutte le opportunità del documento di politica agricola europea, non sottovalutando le possibili conseguenze di un’azione sistematica da parte di organizzazioni animaliste e ambientaliste che spingono sull’Europa affinché ci sia un radicale ridimensionamento delle produzioni zootecniche: trascurare questo aspetto sarebbe un grave errore”.

“Come sarebbe un errore ritenere la Pac un diritto acquisito – ha affermato Angelo Frascarelli – un intervento diciamo pure scontato che scontato, probabilmente, dopo il 2027 non sarà più. Intanto però guardiamo al documento che fra poco più di un anno entrerà in vigore, all’interno del quale, grazie ai 5 ecoschemi presentati il 13 dicembre scorso dal nostro Paese e ai quali va il 25% delle risorse stanziate, per le leguminose foraggere e l’erba medica in particolare è previsto un premio di 110euro/ha, uno dei più elevati tra quelli previsti”.

Nel frattempo, prosegue il lavoro del Centro ricerche produzioni animali di Reggio Emilia all’interno del progetto MediCarbonio, per mappare l’area della Romagna e stabilire quando carbonio organico c’è nel terreno: “I primi risultati parziali che stiamo analizzando – ha spiegato Maria Teresa Pacchioli del Crpa – ci consegnano una situazione a macchia di leopardo. È in ogni caso fuori discussione il vantaggio in termini di impronta di carbonio derivante dalla coltivazione di erba medica rispetto alla soia. I dati parlano chiaro. Se con una produzione di 10,8 tonnellate di sostanza secca/ha di erba medica si generano 129 kg di CO2 equivalente/tonnellata/sostanza secca e 806 kg di CO2 equivalente/tonnellata di proteine, per 2,15 tonnellate/ha di sostanza secca di soia brasiliana il dato schizza a 6.031 kg di CO2eq/t di sostanza secca e addirittura 15.870 kg di CO2eq/tonnellate di proteine. Il dato si riduce molto se ci si riferisce alla soia italiana: con 2,75 tonnellate di sostanza secca/ha prodotte si generano 705kg di CO2eq/t/sostanza secca e 1.855 kg di CO2eq/tonnellate di proteine: il vantaggio dell’erba medica è comunque irraggiungibile”.

Infine, altro argomento dibattuto quello della commercializzazione. Tema che ha infiammato la sala, a testimonianza che il comparto dell’erba medica, dato per spacciato dieci anni fa, oggi è vivo e vegeto e vuole far sentire la sua voce. In Italia, ci sono una trentina di impianti di trasformazione che fanno capo ad Aife, dove viene conferita l’erba medica prodotta su 90 mila ettari di superficie per un milione di tonnellate all’anno di foraggi essiccati e disidratati prodotti. Il nostro Paese è il secondo produttore europeo dopo la Spagna. Il giro d’affari di tutta la filiera tocca 450 milioni di euro e dà lavoro a 13.500 persone: 1.500 dipendenti, 8 mila agricoltori e 4 mila tra terzisti e fornitori.

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