Entro un paio di anni, in Umbria, non ci saranno più colture da granella. L’allarme è della Cia Umbria e riguarda l’emergenza cinghiali. Ci sono agricoltori che hanno dovuto abbandonare la produzione di mais, sorgo e girasole ormai da qualche anno; c’è chi ha pagato per le recinzioni elettriche in modo da salvare il nocciolo e poi ha visto il campo devastato subito dopo aver seminato a grano duro.
L’allarme sull’abbandono di alcune colture è confermato dai dati di Italmopa, Associazione industriali mugnai d’Italia, che parla di un calo nella produzione di grano duro italiano del 10 per cento. Se utilizzassimo solo la produzione italiana, in vendita la pasta ci sarebbe appena quattro mesi all’anno.
“Purtroppo abbiamo perso tutto il lavoro di semina per il grano duro – riferisce Stefano Belvisi di Tenute del Cerro, nell’area di Umbertide – Prima i cinghiali hanno devastato 3 ettari, poi sono tornati per completare il danno sui 9 ettari in totale. Mai come quest’anno ci troviamo a subire perdite così forti e ad affrontare spese così alte per poter continuare a fare il nostro mestiere, a causa di una cattiva gestione dell’emergenza cinghiali, che sono ormai ovunque e in numero sempre maggiore”.
“In un anno, nella mia zona – dichiara Mirco Pieravanti dell’omonima Azienda agricola situata al confine con la Toscana, a Panicarola, zona Lago Trasimeno – i cinghiali sono più che raddoppiati. Me ne accorgo dalle volte, troppe, in cui trovo i campi coltivati a granella devastati. In questo 2021 il danno da mancata produzione sarà di circa 10mila euro e i risarcimenti che arrivano attraverso le domande che presentiamo puntualmente alla Regione riescono a coprire, quando va bene, solo il 50% delle spese. È una perdita continua, anno dopo anno. E – conclude Pieravanti – per chi come me vive di agricoltura, perché è la prima professione e non solo un hobby o un secondo lavoro, la situazione è drammatica”.
Cia raccoglie le segnalazioni e chiede agli Enti che sono preposti al contenimento uno sforzo superiore per riportare la situazione alla normalità. Le battute di caccia autorizzate non portano i risultati che si vorrebbero. In zona lago, pure, la situazione è critica. A rischio, in queste zone, le coltivazioni presidio Slow Food, come la Fagiolina del Trasimeno. Una battaglia Cia Umbria l’ha vinta con la Regione: aver aperto, quest’anno, la caccia di selezione anche al cinghiale e non solo a daini, cervi e caprioli. Il cacciatore di selezione è obbligato a fare un censimento rispetto a una determinato terreno. L’obiettivo è avere una mappatura del numero e della posizione dei cinghiali nella regione.
“Come Cia Umbria, inoltre, volgiamo rivolgere adesso un appello agli agricoltori ad avvalersi delle trappole in comodato d’uso messe a disposizione dalla Regione, che possono essere posizionate anche nelle aree protette dove, per legge, non si possono autorizzare battute di caccia. Abbiamo infatti contributo alla realizzazione della normativa per il trappolamento all’interno dei fondi, con regole precise”.
“Il trappolamento implica però il problema di cosa fare della carcassa dell’animale – sottolinea Matteo Bartolini, presidente Cia Umbria – Per questo stiamo lavorando anche sulla filiera della carne di cinghiale con i mattatoi autorizzati, per distribuirla sul libero mercato. Già oggi gli agricoltori che catturano un cinghiale e vogliono trarne vantaggio economico, possono rivolgersi al mattatoio di Gualdo Tadino, entro 4 ore dall’abbattimento, per effettuare le analisi necessarie a garantire assenza di batteri e contaminazioni”.