Umbria: Aur, come uscire dalla marginalità

Come uscire dall’anonimato? Se lo chiede l’Aur, l’Agenzia Umbria Ricerche, a proposito dell’economia umbra. La storia inizia negli anni Settanta e Ottanta quando l’economia della regione rimase in una posizione marginale, proprio mentre nascevano i distretti industriali nelle aree ad alta densità imprenditoriale, in particolare nella manutenzione di piccole dimensioni, nel made in Italy e fuori dalle metropoli.

A crescere, in questo periodo, furono le regioni del Nordest e del Centro, ma non l’Umbria perché senza distretti industriali. La regione partecipò alla scena nazionale con la subfornitura, dipendente dall’esterno e poco redditizia. Negli anni Novanta ci fu poi il declino, a causa della dinamica debole della produttività e retaggio di quel periodo ai margini. Arriviamo al Duemila, con i distretti esposti alla competitività dei Paesi emergenti, ma capaci di innovarsi e rinnovarsi.

È diventata fondamentale la centralità delle grandi città, dove oggi troviamo innovazione tecnologica, formazione di idee e imprese, sviluppo dei servizi avanzati, concentrazione di capitale umano. È la fase in cui l’Umbria, e un po’ tutto il Centro Italia, è condannata a rimanere ai margini non avendo grandi città. Eppure, i centri urbani di medie dimensioni, in particolare Perugia e Terni, ci sono ed è su di loro che bisogna puntare. Lo si sta facendo? L’Umbria dei borghi è destinata a diventare definitivamente area interna, che può sperare al massimo al ruolo di terminale periferico dei flussi di investimenti, opportunità e redditi. Insomma, dalla marginalità della subfornitura si passerebbe a una nuova marginalità.

Bisognerebbe, secondo l’Aur, riconoscere ai centri urbani un ruolo politico nelle decisioni sull’utilizzo delle risorse, non subordinato al centro amministrativo regionale. Cosa che in passato non è accaduto e che non sta succedendo neanche ora. Servono infrastrutture materiali che colleghino alla dorsale adriatica, alle altre città di medie dimensioni del Centro Italia, alle reti europee, ai grandi centri urbani (non solo Roma). Servono anche infrastrutture immateriali per formare i giovani e far circolare abilità e conoscenze. Servono infrastrutture istituzionali per produrre decisioni di rilevanza collettiva. Non bisogna però dimenticare la campagna, con cui vanno create sinergie.

Dopo la pandemia e con le risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza, è il momento di mettere sul tavolo la posta in gioco e le principali alternative in possesso. L’Umbria può tornare della partita, dalle città è possibile combattere l’invecchiamento e l’impoverimento. Si possono generare nuovi posti di lavoro di qualità per mantenere attrattività nei confronti dei giovani, anche quelli istruiti, per attivare nuove attività imprenditoriali, anche di tipo innovativo. Per aumentare il benessere e le opportunità delle persone. Questa è la strada da intraprendere.

Exit mobile version