Covid in Umbria: terza ondata, sovraccarico degli ospedali

L’Umbria era stata solo sfiorata dalla prima ondata del covid, ma invece è stata presa in pieno da quella arrivata nell’autunno del 2020. L’Aur ha cercato di comparare l’andamento dell’epidemia in Umbria e i suoi effetti sul sistema ospedaliero rispetto alle altre regioni. Sono state prese in esame la Liguria, con una struttura di popolazione simile, ossia con una forte presenza di anziani, le Marche, per contiguità geografica, e il Veneto, esposta sia alla prima ondata sia alle successive.

Il Dipartimento della Protezione civile comunica giornalmente il numero dei tamponi molecolari, il numero di positivi al tampone, il numero di pazienti ricoverati in terapia intensiva e quelli ospedalizzate in area non critica. Questi sono i dati che sono stati presi in considerazione. Per il numero di posti letto disponibili, sono stati presi in esame i dati pubblicati dall’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, che si riferiscono alla rilevazione giornaliera del ministero della Salute.

In Umbria, il massimo del tasso di positività (rapporto percentuale tra numero di nuovi positivi e numero di tamponi molecolari utilizzati) si è raggiunto all’inizio di novembre, al 15 per cento. Il tasso poi è sceso fino a raggiungere il 5 per cento a fine anno. Con l’arrivo della varianti, brasiliana e inglese, l’aumento è stato repentino, arrivando all’8-10 per cento all’inizio di febbraio. Nelle ultime settimane, dopo che il Perugino e alcuni Comuni del ternano sono stati fatti zona rossa, è cominciata una discesa lenta.

Il tasso di positività di febbraio 2021 dell’Umbria, confrontato con le altre regioni, non è stato particolarmente alto. In Veneto, in particolare, per un lungo periodo siamo stati a oltre il 20 per cento e solo a partire dall’inizio del 2021 c’è stato un deciso calo che ha portato il tasso vicino al 5 per cento. Nelle ultime settimane c’è stato un nuovo incremento e tutte le regioni analizzate appaiono con un tasso di positività superiore a quello dell’Umbria. Nelle Marche c’è una forte crescita, con valori oltre il 15 per cento dall’inizio di marzo. La terza ondata, in Umbria, presenta un tasso di incidenza inferiore di circa il 50 per cento rispetto al picco della seconda ondata, mentre è stato di circa la metà rispetto ai livelli massimi raggiunti in Veneto. Pure Liguria e Marche hanno avuti picchi superiore a novembre.

Altro dato molto importante è l’incidenza settimanale dei nuovi casi per 100 mila abitanti. C’è una forte similitudine della curva tra Umbra e Liguria a metà gennaio 2021. Al contrario, in Veneto da fine novembre a fine anno, siamo arrivati pure oltre i 500 casi per 100 mila abitanti, prima che ci fosse una rapida discesa a inizio 2021 e una nuova ripresa nelle ultime settimane. Le Marche sono più stabili, con valori quasi sempre sotto la soglia dei 250 per 100 mila abitanti, tranne che nelle ultime settimane. La situazione in Umbria, quindi, non è peggiore di Veneto e Marche a livello di incidenza dell’epidemia. Il discorso muta se guardiamo all’impatto sul servizio sanitario.

La soglia di allerta è stata fissata al 40 per cento per occupazione di posti letto ospedalieri, escludendo le terapie intensive. La terza ondata, in questo caso, in Umbria ha inciso maggiormente, richiedendo più ricoveri ospedalieri rispetto a novembre, raggiungendo circa 60 ogni 100 mila abitanti. In Veneto, lo stesso valore c’è stato per tutto dicembre. A cambiare è la saturazione, al 50 per cento in Veneto e oltre il 60 per cento in Umbria. Le Marche hanno segnalato un picco massimo intorno al 50 per cento, con valori sempre oltre la soglia di allerta, a cominciare da novembre, con un picco del 70 per cento nell’ultima settimana. In Liguria, a metà novembre si è raggiunto un valore oltre l’80 per cento, seguito da un repentino calo che ha portato il livello di occupazione dei letti sotto la soglia critica a partire da metà gennaio 2021.

Leggiamo ora i dati delle terapie intensive. Soglia di allerta al 30 per cento in questo caso. In Umbria, recentemente, c’è stata una maggiore incidenza di casi gravi, con quasi 10 ricoverati ogni 100 mila abitanti, contro un massimo da ottobre 2020 di 8 in Liguria, 6 nelle Marche e 7 in Veneto. L’aspetto peggiore è che l’occupazione dei posti in terapia intensiva ha raggiunto il 60 per cento, rimanendo poi stabilmente oltre il 30 per cento da inizio novembre a oggi, a parte una parentesi nella settimana di Natale. Le Marche, sempre intorno alla soglia del 30 per cento, hanno un visto un veloce aumento nelle ultime due settimane, fino ad arrivare a quasi il 60 per cento dell’occupazione. Il picco di oltre il 50 per cento, in Liguria, si è avuto a metà novembre, poi un rapido calo, al di sotto della soglia critica. In Veneto per un mese e mezzo – da inizio dicembre a metà gennaio – siamo stati leggermente al di sopra della soglia allerta, con un picco massimo del 35 per cento a inizio anno.

In conclusione, l’Aur segnala come l’impatto della pandemia da covid 19, in Umbria, si è manifestato soprattutto come sovraccarico delle strutture ospedaliere. La campagna vaccinale dovrebbe ridurre sensibilmente il numero dei casi gravi che richiedono il ricovero. Nel Regno Unito e in Israele, dove siamo a un’ottima percentuale di persone vaccinate, la situazione pare andare proprio in questa direzione.

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