Umbria: prosegue la desertificazione commerciale

Dal 2012 al 2020, in Umbria, è proseguito il processo di desertificazione delle attività commerciali. Lo fa sapere l’Ufficio studi di Confcommercio, che ha preso in esame la situazione di Perugia e di Terni insieme a quella di tutti i capoluoghi di provincia (ed ex capoluoghi) più dieci Comuni di medie dimensioni.

Nel centro storico di Perugia, nel 2021, c’erano 349 imprese commerciali, ridottesi a 276 nel 2018 e a 272 nel 2020. Anche fuori dal centro storico la situazione non cambia: 1.252 attività nel 2012, 1.202 nel 2018 e 1.172 nel 2020. Positivo l’andamento delle strutture ricettive e turistiche: nel centro storico, bar, ristoranti e alberghi erano 217 nel 2012, poi 235 nel 2018 e 236 nel 2020; stesso trend fuori dal centro storico: 577 imprese nel 2012, 593 nel 2018 e 591 nel 2020.

Succede più o meno la stessa cosa a Terni. Nel centro, da 388 nel 2012, le attività commerciali sono scese a 342 nel 2020; fuori dal centro, 945 nel 2012, 866 nel 2018 e 842 nel 2020. Bene il settore ricettività-ristorazione: 141 bar, alberghi e ristoranti nel 2012, 147 nel 2018 e nel 2020.

Giorgio Mencaroni, presidente di Confcommercio Umbria, commenta: “Di questa analisi colpisce un dato: se è vero che la diminuzione di imprese commerciali è stata progressiva ed inarrestabile, nel 2020 si è osservato un tasso di cancellazione basso. Considerato l’anno drammatico che abbiamo vissuto causa Covid, questa situazione è frutto realisticamente di una sorta di congelamento, di ibernazione del tessuto produttivo (blocco licenziamenti, cig, promesse di ristori). Gli effetti della pandemia però arriveranno nei prossimi mesi, e con un impatto drammatico: a livello nazionale l’Ufficio Studi Confcommercio prevede solo nei centri storici dei 110 capoluoghi di provincia e altre 10 città di media ampiezza, oltre a un calo ancora maggiore per il commercio al dettaglio (-17,1%), per la prima volta nella storia economica degli ultimi due decenni anche la perdita di un quarto delle imprese di alloggio e ristorazione (-24,9%). Anche il commercio elettronico, che vale ormai più di 30 miliardi, registra cambiamenti a causa della pandemia: nel 2020 è in calo del 2,6% rispetto al 2019 come risultato di un boom per i beni, anche alimentari, pari a +30,7% e di un crollo dei servizi acquistati (-46,9%)”.

“Quindi anche in Umbria avremo città con ancora meno negozi, e, per la prima volta dopo decenni, con meno attività ricettive e di ristorazione: solo farmacie e informatica e comunicazioni si prevedono in controtendenza col segno più. Il rischio di non “riavere” i nostri centri storici come li abbiamo visti e vissuti prima della pandemia è, dunque, molto concreto, e questo significa minore qualità della vita dei residenti e minore appeal turistico”.

“Anche prima del Covid il tessuto commerciale dei centri storici stava cambiando, a causa principalmente del cambiamento di modello dei consumi. La pandemia acuisce questi trend. Per alberghi e pubblici esercizi il futuro è totalmente privo di certezze, soprattutto nei centri storici delle città medie. Mentre ieri il tema centrale riguardava il rischio di città “solo per turisti”, dove i negozi scomparivano e crescevano bar e ristoranti, da oggi la questione è come immaginare un centro storico con meno negozi, meno mercati e meno attività legate al turismo. Il rischio desertificazione assume quindi una gravità diversa che in passato”.

Come reagire a questa situazione doppiamente drammatica?
“Quella dei centri storici – sottolinea il presidente di Confcommercio Umbria – è una questione eccezionalmente rilevante perché si tratta di capire come vivremo nel futuro prossimo. Per questo occorre uno sforzo eccezionale: intanto per affrontare l’emergenza Covid, con ristori adeguati alle imprese, specie quelle più colpite dalle chiusure. Ma accanto ai ristori occorrono iniziative di cambiamento strutturali e organiche: alla Regione chiediamo con urgenza un piano di rigenerazione urbana che sia frutto di concertazione e che tenga conto di centri storici e città come sistema integrato di funzioni, favorisca la digitalizzazione delle imprese e rilanci l’identità dei nostri borghi. La legge n. 12 del 2008, che ha introdotto i Quadri Strategici di Valorizzazione, è stata in buona parte disattesa, e va comunque adeguata anche in seguito alla pandemia, che ha stravolto completamente la realtà e introdotto nuove priorità”.

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