Marini, Copagri Umbria: “Recovery Fund si usi per ecommerce delle piccole imprese”

L’agricoltura umbra soffre a causa della pandemia che, da più di un anno, fa sentire i suoi effetti su tutto il territorio e sulle imprese. Lo fa notare Sergio Marini, presidente di Copagri Umbria, che dice: “La situazione era difficile già prima a causa di problemi legati alla bassa redditività; ora aggiungiamo l’emergenza covid, che sovrasta tutte le altre problematiche, in particolare per le imprese legate al settore Horeca, al turismo e all’agriturismo. È tutto fermo in Umbria e nel resto del Paese. Soffrono meno le aziende legate alla Gdo che continuano a sfruttare il fatto che i consumi ci siano”. Ammette: “La prima emergenza oggi è il covid, e non sappiamo quando ne usciremo. In Umbria, poi, in provincia di Perugia riscontriamo la situazione peggiore”.

Tante sono le coltivazioni che la regione sa offrire. Sono in salute oppure no? “Il tabacco è un problema storico. Per decenni l’Umbria ha vissuto sul tabacco e ancora oggi bisogna puntarci, sapendo che si cerca la qualità, il biologico e il prodotto a basso impatto ambientale e salutistico. Dobbiamo continuare a lavorare per mantenere una tradizione culturale e un livello occupazionale. Non siamo più ai livelli di 10-20 anni fa, ma è un settore ancora interessante. Non possiamo demordere”.

Una delle colture che invece rappresentano la novità, in Umbria, sono i noccioleti: “Situazione interessante. È una delle poche coltivazioni legate a contratti, in cui la domanda nel medio lungo periodo dovrebbe essere costante. Però ricordiamoci che non siamo una regione da noccioleto, non possiamo riconvertire tutta la regione, ma la filiera è interessante. L’Umbria è una regione che va verso produzioni di qualità, direttamente al consumatore: dalla zootecnia ai prodotti tipici come olio e vino, dalla zootecnia da latte e da carne a quella ovicaprina. Le nicche innovativa sono importanti, ma l’agricoltura umbra resta quella tradizionale con innovazioni”.

Prospettive interessanti si aprono grazie alla svolta green che il Governo vuole dare: “Vedremo come andrà. L’Umbria è sempre stata green. Bisognerà capire se porterà maggiore redditività alle imprese. Stiamo parlando di una scommessa, vediamo se porterà competitività”.

Resta il settore enologico, di vini di qualità: “Il problema oggi è quello del mercato. Noi facciamo produzione di qualità soprattutto per l’export e in buona parte per la ristorazione. Dunque, il settore risente molto del fermo che dura da un anno, la situazione è estremamente difficile e complicata. La grande distribuzione non riesce a sopperire, molte imprese sono in difficoltà. Il problema è la domanda. L’effetto del fermo è enorme sui prezzi e sulle cantine che rimangono con le cisterne piene. Bisognerà intervenire in qualche maniera, vediamo che tipi di ristoro arriveranno. Serve un intervento straordinario e significativo”.

L’Umbria è comunque sempre una regione che dà molto dal punto di vista del Made in Italy: “Negli ultimi decenni ha fatto un grande sforzo verso la qualità e la distintività e verso le nuove attenzione del consumatore. Ha fatto molto di più che altre regioni. Così ci posizioniamo bene sul mercato nel momento in cui i consumi dovessero riprendere, ci sono eccellenze sulle quali possiamo continuare a puntare, prodotti tradizionali come olio e vino, salumi, formaggio, prodotti di nicchia come cereali e legumi. Il limite sono le piccole imprese e il territorio difficile, ma questo ha stimolato la diversificazione. Potenzialmente ci sono buone opportunità, sul piano internazionale bisogna fare qualcosa in più. I soldi del Recovery Fund potrebbero essere utilizzate per esempio per sviluppare una rete di ecommerce per le pmi, così anche queste si presenteranno sul mercato internazionale. Si tratta di un progetto che la Regione potrebbe prendere in considerazione. Una sorta di filiera corta, dal produttore al consumatore, ma non a km zero”.

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