Verrascina (Copagri): “Riconoscere il giusto reddito agli agricoltori”

Franco Verrascina, Copagri

“Noi siamo un’organizzazione in jeans, nel senso che andiamo in mezzo ai produttori, discutiamo con loro. Ed è bello guardare poi il produttore che con gli occhi ti dice grazie dopo che gli hai risolto un problema”. Questa è, nella parole del presidente nazionale Franco Verrascina, Copagri, associazione che in Italia è presente in tutte le regioni, le province e i comuni da circa 30 anni. Nata, infatti, nel 1991 come coordinamento di organizzazioni, nel 1995 è diventata per l’appunto la Confederazione dei produttori agricoli, con il riconoscimento del Cnel e del ministero del Lavoro.

“Oggi siamo la quarta organizzazione professionale riconosciuta. Facciamo parte di Agrinsieme con Confagricoltura, Cia e l’Alleanza delle Cooperative Agroalimentari. Crediamo nell’associazionismo, l’obiettivo primario è tutelare tutte le aziende agricole, confrontandoci con il Parlamento e partecipando ai tavoli istituzionali”. Verrascina continua: “La nostra azione si ispira in particolare ai valori e ai principi del sindacalismo democratico: i valori dell’economia non devono mai prevaricare il valore fondamentale della persona”. All’interno di Copagri sono stati attivati diversi servizi ad hoc: quelli previdenziali e contabili, i corsi di formazione, il Centro di assistenza agricola. L’ultima regione in cui è nata Copagri è la Val d’Aosta.

“Ci collochiamo benissimo nei rapporti con le altre associazioni del settore agricolo. Guardiamo agli interessi del comparto, non del singolo individuo. Oggi il vero problema delle aziende agricole è la disponibilità delle risorse da poter investire, il giusto reddito per gli agricoltori. Siccome facciamo parte di una filiera, bisogna riconoscere il reddito giusto fin dalle aziende agricole in su. Oggi si produce in perdita: un produttore riesce ad avere un prezzo ben al di sotto dei costi di produzione, e così non si può andare avanti. I consumatori oggi ci chiedono sicurezza alimentare, salubrità, impegno ambientale, ma soprattutto di mangiare Made in Italy. Noi questo lo facciamo benissimo, come Italia, nel 2019 abbiamo totalizzato 44 miliardi di export di prodotti nostrani grazie al riconoscimento globale che riceviamo per ciò che produciamo nel settore agroalimentare. Bisogna proseguire con una forte azione promozionale nei confronti dei consumatori, che sono un po’ l’anello debole insieme a noi della filiera: devono pagare il prezzo giusto per dare un reddito agli agricoltori. In modo che possano continuare a vivere”.

Si batte, Copagri, sul tavolo europeo: “In questo momento ci sono Paesi come la Francia per spingono sul versante del sovranismo alimentare. Noi dobbiamo valorizzare il nostro prodotto. Siamo contro l’etichettatura che va sotto il nome di Nutriscore, basata su discutibili semafori rossi che l’Europa sta tentando di fare approvare. Noi più volte abbiamo espresso la nostra contrarietà. Bisogna promuovere sistemi alimentari sani. Si parla tanto dell’importanza della dieta mediterranea, che dal 2010 ha ricevuto il riconoscimento dell’Unesco, e poi si tenta di affossare i prodotti tipici: è inconcepibile. Questi sono interessi che nulla hanno a che vedere con l’agricoltura. Non dimentichiamo che l’Italia, in Europa, versa più di quello che prende. Se verso 100 e prendo 200, invece, mi è più facile entrare sul mercato con prezzi ben al di sotto di quelli di produzione; si tratta di concorrenza sleale. Dobbiamo essere vigili su questo. Il fatto che l’approvazione del Nutriscore sia stata per ora rinviata significa che stiamo lavorando bene in Europa”.

All’interno di Agrinsieme, Copagri “si sta impegnando per la collaborazione di tutti i soggetti. Abbiamo creato la filiera del grano duro, a cui non partecipano solo le associazioni di categoria, ma ci sono anche i rappresentanti dei mulini, di Federalimentare, c’è Barilla. Stando insieme, nessuno demonizza il lavoro degli altri. Così poi ci confrontiamo. Nel momento che stiamo vivendo, con la gente che fa scorte nei grandi centri commerciali, non si può fare l’offerta 2×3 perché i costi poi li paga l’agricoltore. Stessa cosa stiamo facendo sulla carne, sul lattiero-caseario. Cerchiamo di fare squadra: nessuno è nemico, sono tutti alleati”.

Il covid ha scombinato i piani del 2020: “Ha determinato le stesse conseguenze di una calamità naturale, con preoccupanti ripercussioni economiche e sociali che avranno ricadute sul medio lungo periodo per l’agricoltura. Noi abbiamo il grande merito di aver garantito sempre gli approvvigionamenti di cibo grazie all’impegno responsabile delle aziende. Ma nonostante tutto, i problemi li abbiamo avuti anche noi. C’è stato un calo, in alcuni casi un blocco dell’attività, la chiusura delle frontiere, il settore Horeca fermo. È stato un periodo difficile. Non trovavamo la manodopera per fare la raccolta, abbiamo constatato il ridimensionamento di alcune categorie di consumo, che sta continuando per la diminuzione del reddito e il cambiamento nelle abitudini da parte del consumatore. Un settore come l’agriturismo ha visto azzerarsi le entrate. Corriamo il rischio concreto, che va scongiurato, di andare a perdere spazi di mercato, come già accaduto a causa dell’embargo russo, che saranno occupati da altri Paesi e che a quel punto sarà molto difficile andare a recuperare”.

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