Luppolo made in Italy: la sfida nasce in Umbria

L’Umbria lancia la sfida del luppolo italiano. Per produrre birra tricolore e occupare, a regime, dal 3,5 all’8 per cento del mercato globale con 5 mila ettari coltivati e più di 300 milioni di euro di valore. L’annuncio durante il convegno ‘Luppolo Made in Italy: la Filiera del Luppolo Italiano’, svoltosi in modalità streaming.

Sono stati necessari due anni di sperimentazione in campo e tre di attività perché la Rete di imprese – al momento 12 tra agricole, agroalimentari e d’innovazione tecnologica – ‘Luppolo Made in Italy’, con sede a Città di Castello e con presidente Stefano Fancelli, organizzasse questo momento di confronto con istituzioni, produttori e stakeholders: “Per coinvolgere una platea vasta dando ‘l’idea di un’azione collettiva per portare ricchezza ad agricoltori, territori e birrifici”.

I numeri in Umbria, considerando che le piante di luppolo vanno in piena produzione al terzo anno di impianto, vedono attualmente un 60-70% del target di produzione con oltre 3 ettari sperimentali e in gran parte biologici e distribuiti in diverse area del territorio regionale (Media valle umbra e Trasimeno) e non solo in Altotevere. Sono stati più di 500 gli uditori che si sono collegati per seguire online il convegno. C’erano homebrewer, birrifici artigianali, manager di multinazionali proprietarie di marchi italiani, grandi player del mercato della birra e del mondo della produzione, aziende agricole, beer-lovers e agronomi.

Tra i relatori il sottosegretario del Mipaaf Giuseppe L’Abbate, il sottosegretario del Mise Gian Paolo Manzella, l’assessore regionale all’Agricoltura Roberto Morroni, Michele Cason, presidente di Assobirra, Andrea Soncini di UnionBirrai. Facelli ha spiegato: “Si stanno unendo molte eccellenze attraverso la rete per avere un progetto di ricerca con visione condivisa tra i produttori di luppolo italiano, ma serve anche arrivare a un piano nazionale di settore per sostenere la filiera e poter essere competitivi”.

Vede con questa filiera “enormi potenzialità” e “alte opportunità” per il settore agricolo il sottosegretario del Ministero dell’agricoltura Giuseppe L’Abbate che ha poi ricordato l’istituzione di un tavolo ministeriale e “l’importanza strategica” della filiera anche per territori marginali e riconversioni. Filippo Gallinella, presidente della Commissione Agricoltura della Camera, nel ricordare i “passi da gigante” fatti con il progetto ‘Luppolo Made in Italy’ ha successivamente detto che sarà messa attenzione per disporre fondi utili per sviluppare le filiere minori e in particolare anche questo settore.

Il cuore umbro della filiera del luppolo vuole rappresentare un punto di riferimento nazionale in termini di ricerca, produzione, trasformazione e commercializzazione. Rete e filiera sono sostenute dalla Regione Umbria con la Misura sulla cooperazione e innovazione delle Reti, nata all’interno del Piano di sviluppo rurale, come ha ricordato l’assessore regionale Roberto Morroni: “Parliamo di un prodotto agricolo dal valore aggiunto elevato e in Umbria ci sono le fondamenta necessarie per gli sviluppi di questa filiera e dobbiamo abbracciare con convinzione questa prospettiva”. Valerio Mancini, presidente della Seconda Commissione permanente dell’Assemblea legislativa umbra, ha fatto sapere che vuole introdurre nuovi strumenti di sostegno alle Filiere innovative anche a livello regionale.

La compagine umbra assume autorevolezza grazie alla presenza di Giuseppe Perretti, direttore del CERB – Centro di eccellenza di ricerca sulla birra dell’Università di Perugia – come coordinatore scientifico del progetto Luppolo Made in Italy. Oltre al Cerb c’è anche la presenza di Cnr Ibbr, istituto specializzato nella genetica che, solo sul territorio umbro, è riuscito a recuperare 40 ecotipi di luppolo autoctoni,.

Perretti ha definito l’appuntamento organizzato dalla Rete “Luppolo Made in Italy” come una “tappa miliare di quella che è la storia del luppolo italiano”. “Bisogna aspettare ancora qualche anno per festeggiare pienamente ma bisogna continuare ad investire su questi primi dati per dare prospettive” ha commentato Perretti, evidenziando poi il legame con la coltura del tabacco che “ha dato subito chiare evidenze e opportunità”.

Nella filiera è presente anche quella tabacchicola. Una parola messa al centro è stata così anche “riconversione”, perché vengono utilizzate strutture e macchine usate per la trasformazione del tabacco. “Possiamo dire – ha detto Fancelli a riguardo – che il forno da tabacco è uno strumento tecnico perfetto per l’essiccazione del luppolo. E oggi possiamo dire che in Altotevere abbiamo il più grande centro di essiccazione a sud della Baviera. Le possibilità di lavorazione e di essiccazione tecnica nel nostro territorio non hanno niente da invidiare già oggi senza nessuna integrazione e conversione alle migliori realtà della produzione di luppolo nel mondo come Nuova Zelanda, Slovenia, Germania e Stati Uniti”.

“Abbiamo guardato la filiera tedesca, slovena, americana e abbiamo capito anche i limiti di questa coltura e abbiamo riprogettato la filiera all’insegna della sostenibilità economica e ambientale” ha sottolineato ancora Fancelli per poi aggiungere: “Abbiamo potuto costruire una sperimentazione coraggiosa di una nuova coltura che porterà reddito ad agricoltori e imprese e un nuovo ingrediente di alta qualità per la produzione di birre artigianali di qualità che oggi sono il fiore all’occhiello e un vanto per la produzione brassicola italiana nel mondo. Il mercato della birra artigianale sta crescendo, gli stili di birra italiani sono di moda in tutto il mondo e c’è una grande domanda di luppolo, italiano e di grande qualità, da portare anche in ogni parte del mondo. Vogliamo dare così una grande spinta a tutto il movimento delle birre artigianali umbre e italiane”.

Michele Cason, presidente di Assobirra, ha ricordato alcuni dati: a livello mondiale, ogni anno si producono 130 mila tonnellate di luppolo, a cui corrisponde una superficie coltivata di 60 mila ettari circa. “Se vogliamo produrre tutta la birra italiana solo con il luppolo non è questa la strada. Bisogna puntare invece ad una varietà di luppolo che sia caratterizzante. È fondamentale seguire questa strada per non fare un buco nell’acqua e non sperperare risorse”.

Andrea Soncini, di UnionBirrai, in rappresentanza di 380 microbirrifici italiani, ha poi affermato: “Visto che non pastorizzano la birra questi birrifici artigianali hanno un gran bisogno del luppolo. E da quando il luppolo è diventato determinante in tanti stili brassicoli i mastri birrari e i microbirrifici si stanno rivolgendo ai produttori di luppolo. Per questa ragione stiamo lavorando indirettamente sulla filiera del luppolo anche con progetti di leggi regionali. Ci devono essere accordi di filiera per legarsi ai territori”.

Il progetto “Luppolo Made in Italy” è articolato su tre opzioni di coltura: in campo convenzionale, biologico ma anche indoor. Relativamente a quest’ultimo tipo di produzione Alessio Saccoccio ha presentato la Start-up innovativa Idroluppolo che fa parte della Rete di imprese. Un esempio “di come il pubblico può sostenere le start up” ha commentato il sottosegretario del MISE Gian Paolo Manzella. “Anche sul luppolo – ha poi aggiunto – vedo con piacere tornare le parole di politica industriale come rete di imprese, filiera, circolarità, territorio, export. Condensa quindi tanti elementi che oggi caratterizzano lo sviluppo economico anche italiano”.

Il luppolo ha tanti campi di applicazione: per la produzione di medicinali e cosmetici, cooking e preparati alimentari, floricoltura e vivaismo, alimentazione animale e allevamento. Gli scarti possono venire usati per il tessile, e il cordame. E pure nel settore delle bioenergie. Luppolo Made in Italy sta lavorando con Aboca (azienda inserita nella Rete di imprese) proprio per una differenziazione nell’utilizzo, legato a salute e benessere. “Prezioso è il contributo di Aboca – ha ricordato Fancelli – che sta operando, grazie al suo modello di certificazione B-corp, per fare della filiera italiana e umbra del luppolo anche un modello di innovazione e di sostenibilità reale”.

Nella lunga giornata di confronto sono intervenuti altri relatori: i sindaci di Città di Castello (Luciano Bacchetta) e San Giustino (Paolo Fratini); Luca Stalteri, responsabile agronomico LMI e produttore Biologico; Roberto Volpi del Gruppo Cooperativo Agricooper; Francesco Martella, presidente Ordine Agronomi dell’Umbria; Marcello Serafini, amministratore unico Parco3A; il consigliere regionale Michele Bettarelli; per il progetto basato in Emilia Romangna a cura di CLI Cooperativa Luppoli Italiani, la presidente Michela Nati, Fabrizio Fantini esperto di tracciabilità e per UniParma Tommaso Ganino; interventi anche di IHC Italian Hop’s Company con Eugenio Pellicciari, di AIAB con Vincenzo Vizioli, di Cia Umbria con il presidente Matteo Bartolini e di CGIL FLAI Umbria con Michele Greco.

“La prossima tappa – ha concluso Fancelli – sarà quella della presentazione della nuova veste di Luppolo Made in Italy che quindi andrà ad evolversi, costruendo una compagine più forte economicamente, produttivamente e in termini organizzativi”.

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