Ferraris (Unionbirrai): “Lavoriamo per estendere cultura della birra artigianale”

Il settore della birra artigianale, in Italia, è in crescendo costante. Se fino al 2000 i produttori nel nostro Paese erano appena 15, nel 2010 erano già circa 200, ma è dal 2014-2015 che si è assistito a un vero e proprio cambiamento di mentalità che ha portato, oggi, ad avere 850 – 900 produttori da Nord (soprattutto) a Sud.

A fermare momentaneamente la crescita è stato il covid, come spiega Vittorio Ferraris, presidente di Unionbirrai: “Il mercato della birra artigianale ha incontrato molte difficoltà a causa della mancanza di sbocchi commerciali: noi infatti lavoriamo con pub, bar e locali, settore che per l’emergenza sanitaria ha chiuso. Le grandi industrie di birra, invece, lavorando con la gdo non hanno avuto problemi: anzi, si è assistito pure a una crescita”.

Da giugno, fortunatamente, la sofferenza è diminuita: “Abbiamo assistito a una ripresa interessante con il consumatore che ha mostrato molta voglia di uscire dopo i mesi di lockdown. Solo la ristorazione rimane ancora un po’ bloccata a causa delle restrizioni. Il motore si è avviato. I conti però li faremo a fine anno perché non dimentichiamo che il Governo ha disposto il differimento delle tasse, delle imposte, dei mutui bancari e, dunque, credo che a fine 2020 ci sarà un problema di liquidità”.

Un altro problema rilevato da Ferraris è “l’impossibilità di lavorare per eventi, festival e sagre. Ma siamo in qualche modo riusciti ad assorbire anche in questo caso lo scossone”.

La birra artigianale italiana rappresenta il 4 per cento dei consumi totali di birra: “Noi l’abbiamo ‘esportata’ dalla cultura anglosassone. I consumatori l’hanno scoperta negli ultimi 20 – 25 anni in una patria che dà molta importanza al vino. Oggi, però, la possiamo definire una vera e propria alternativa al calice, ha fatto passi da gigante. Ormai si beve per accompagnare diversi tipi di cibo. È un vero e proprio movimento culturale”.

La stessa Unionbirrai nasce nel 1995 come Associazione culturale per poi trasformarsi, 3-4 anni fa, in Associazione di categoria. “Noi puntiamo molto su formazione e informazione. Tutti gli anni facciamo una cinquantina di corsi in tutta Italia formando 2 mila consumatori”. La cultura della birra artigianale è particolarmente sentita al Nord: “Dove ci sono grandi industrie che hanno aperto già nel 1995 e che oggi sono realtà consolidate. Basti pensare che Piemonte e Lombardia, da sole, fanno il 40 per cento del mercato. Ma il divario con il Sud si sta colmando negli ultimi anni. Ogni provincia italiana, ormai, ha almeno un produttore di birra artigianale”.

Quali sono le prospettive del mercato? “Dobbiamo andare a creare nuovi consumatori perché il mercato, così com’è, è saturo e in Italia ancora non c’è la cultura del bere birra artigianale. Continueremo con la formazione e con l’informazione. Nel 2021 parteciperemo a Cibus perché dobbiamo farci conoscere e non solo nelle manifestazioni specifiche sulla birra. A Cibus ci confronteremo con un mercato ambizioso”.

Continuerà il lavoro per portare la birra artigianale anche fuori dai confini nazionali: “L’export resta uno sbocco importantissimo: Germania, Belgio e Inghilterra hanno riconosciuto l’eccellenza del prodotto italiano. L’anno scorso, a Norimberga, abbiamo spopolato con tanti premi davanti a una giuria internazionale. Ma prima di esportare, è necessario lavorare tanto sul mercato nazionale perché il 96 per cento della popolazione ci conosce poco”.

Vittorio Ferraris e il consiglio direttivo avranno altri tre anni per lavorarci su visto che, proprio nel 2020, sono stati incaricati nuovamente. Hanno ricevuto un nuovo mandato. Che utilizzeranno al meglio per espandere ulteriormente la cultura del bere birra. Artigianale.

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