Ast di Terni, Ex Ilva di Taranto, ma non solo. Il settore metalmeccanico italiano affronta tempi duri, con diverse vertenze sul tavolo. A parlarne è Antonio Spera, segretario nazionale di Ugl Metalmeccanici. Che parte proprio affrontando lo spinoso argomento dell’azienda tarantina.
“Siamo molto preoccupati, si sta perdendo troppo tempo. Siamo ancora in attesa di conoscere l’accordo sottoscritto il 4 marzo da Mittal e dal Governo e questa è la prima anomalia. La seconda è che l’accordo che abbiamo firmato al ministero dello Sviluppo economico sembra diventato carta straccia, visto che non vengono mantenute occupazione e produzioni, come invece ci era stato detto. Aggiungiamo che il ministro ha fatto una dichiarazione a gamba tesa dicendo che l’area a caldo dell’ex Ilva può essere chiusa. Quando questa operazione richiederebbe una ventina d’anni, mica si fa dall’oggi al domani. E poi i lavoratori dove li mettiamo, li accolliamo allo Stato?”.
Mittal è nel centro del bersaglio di Spera: “Loro non se ne importano più niente, non danno conto a nessuno di ciò che fanno. Usano tutta la cassa integrazione, lo stabilimento cade a pezzi, ma proprio i manutentori vengono mandati in cassa integrazione”. Una situazione simile si sta vivendo a Piombino: “La ex Lucchini, ora Gindal, multinazionale indiana, da due anni ancora non ha presentato il piano industriale. Nell’ultimo incontro hanno esordito dicendo che hanno bisogno di liquidità, soldi a fondo perduto dal Governo”.
Si passa all’Ast di Terni: “In questo caso, parliamo di uno stabilimento che almeno fino a poche settimane fa era in salute, aveva diverse commesse. Poi la multinazionale ha annunciato che avrebbe diminuito gli asset, tra cui quello ternano. E siamo in attesa di capire chi sono gli acquirenti. Nel frattempo, è stato annunciato che chiuderà dal 25 luglio al 16 agosto e mai c’era stata una pausa così lunga all’Ast. Non vorremmo che nel frattempo i proprietari spostassero le commesse da qualche altra parte”. È amaro Spera: “Tutta la filiera dell’acciaio, in Italia, è incerta. E sappiamo che in Europa ne arriva dalla Turchia e dalla Cina”.
Quello delle multinazionali che fanno shopping in Italia è un problema serio: “Quotidiano, direi. Vediamo quello che è successo nel campo dell’automotive, a Termini Imerese. O Whirlpool che ogni 2-3 anni chiude un sito produttivo. In Italia manca una politica industriale. Gli stranieri vengono e fanno quello che vogliono. Di questo passo, non si reggerà la situazione e io, per settembre – ottobre, vedo un autunno caldo, un vero e proprio problema sociale”.
Il covid-19 ci ha messo del suo, fermando o rallentando diverse produzioni: “A soffrire di più è stato il comparto dell’automotive, insieme a quello del trasporto aereo. Il primo ora si sta riprendendo un po’, nel secondo c’è stata una flessione in quanto a ore lavorate. Ha avuto una battuta d’arresto anche la componentistica. In salute invece la cantieristica navale, così come chi produce alta velocità e metropolitana. Il vero problema è che quasi tutti avevano dipendenti con contratti a 36 mesi, accordi che non sono stati rinnovati”.
Una ricetta per dare ossigeno alla metalmeccanica sarebbe rompere lacci e lacciuoli, come quello della pressione fiscale: “Serve una vera riforma di defiscalizzazione. Con i soldi risparmiati, si potrebbe investire in nuove tecnologie. La pressione, in Italia, è troppo alta. Bisogna togliere i paletti di decenni, mentre assistiamo solo ad annunci. Non dimentichiamo che abbiamo stipendi tra i più bassi d’Europa”.
L’Ugl ha due richieste, per concludere: “Noi chiediamo sempre la partecipazione agli utili delle aziende da parte dei lavoratori. E chiediamo una riforma degli ammortizzatori sociali, ormai obsoleti. Abbiamo fatto una proposta, attendiamo una risposta”.