Umbria: l’impatto economico del virus

La pandemia continua a far sentire i suoi effetti, ma in maniera diversa, sui diversi settori lavorativi dell’Umbria. Se all’inizio il lockdown ha colpito l’offerta aggregata e trasporti, turismo e commercio, successivamente c’è stata l’estensione a tutto il sistema produttivo, il che ha prodotto gravi difficoltà occupazionali pregiudicando la vita di numerose imprese.

Rispetto alla nota del 13 marzo le cose sono mutate. Se lì si parlava di un periodo limitato al primo semestre del 2020, ora l’Aur stima la situazione fino alla fine dell’anno. Si tiene conto del protrarsi del blocco delle attività e della difficile ripartenza. La prima ipotesi prevede l’apertura graduale, a maggio, delle varie attività economiche con contenimento del contagio. Così, il ciclo economico riprende lentamente, senza tralasciare gli effetti negativi sulla domanda interna ed estera. Il secondo scenario è quello catastrofico, con l’epidemia che si protrae anche nel secondo semestre, nuovi focolai che costringono ad altri lockdown a intermittenza. Una situazione che non può non bloccare investimenti e consumi.

Gli andamenti dei settori sono stati stimati rielaborando le valutazioni di analisi come Cerved e Confindustria, con un calo del Pil tra 8,2% e 12% per Cerved, in accordo con quanto riportato nel Documento di Economia e Finanza (-8% nel 2020) e da Banca d’Italia (-9%). Questo il meccanismo d’indagine: per ciascun settore è stato determinato un range di variazione del corrispondente valore aggiunto associato ai due scenari. I settori di attività sono successivamente stati raggruppati in quattro gruppi a seconda del grado di sofferenza stimato in termini di tasso di riduzione di valore aggiunto.

Vediamo cosa viene fuori. Turismo e ristorazione, trasporti, attività artistiche e di intrattenimento, costruzioni, metallurgia, mezzi di trasporto e tessile – abbigliamento sono tra i settori maggiormente in sofferenza, con valore aggiunto stimato tra il -9 e il -38,3%. Nel complesso, la classe dei settori che subiscono un impatto da covid-19 “molto negativo” genera il 43,4% del valore aggiunto regionale. Segue la classe a impatto “negativo” con range tra il -4,4% e il -12,5%: che genera il 22,5% del valore aggiunto regionale. La terza classificazione è per i settori con impatto “poco rilevante”, range tra 0 e -3,3%: qui si concentra il 26,8% del valore aggiunto. Rimane la classe rappresentata da sanità e industria chimico-farmaceutica (7.3% di valore aggiunto), con un valore addirittura positivo dell’1,9%.

Ecco allora che in Umbria, nel 2020, la contrazione economica totale potrebbe tra il -7,4% e il -11,1%, con decremento del valore aggiunto tra 1,5 e 2,2 miliardi di euro. Un calo che, in entrambi i casi, sarebbe leggermente inferiore a quello nazionale. Come mai ciò? Per la minore incidenza di alcuni tra i settori che subiscono il maggiore impatto, con la fabbricazione dei mezzi di trasporto e i servizi di trasporto, e la maggiore incidenza di comparti meno colpiti dalla crisi: istruzione, industria alimentare e agricoltura.

Naturalmente, fa sapere l’Aur, sono stime volatili perché non si sa come e se si evolverà il contagio e neanche la reazione degli umbri e delle imprese in termini di consumi.

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