Umbria: una regione difficile da governare

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Tra la fine degli anni Novanta e l’inizio degli anni Duemila raccontavamo di una regione dove molti indicatori socio-economici erano in linea, se non migliori in certi casi, della media nazionale. Ma da qualche tempo i dati ci evidenziano tutt’altra faccenda. Nell’Umbria dell’avvio del terzo millennio si sono aggravati i problemi collegati alle sue fragilità storiche e, al tempo stesso, si sono aperte crepe anche in quei profili che si credevano solidi. A dirlo è l’Agenzia Umbria Ricerche. In particolare dal 2008 i fattori di debolezza si sono moltiplicati e molti indicatori hanno iniziato ad assumere valori negativi e in alcuni casi, molto negativi. E ciò ha avuto come conseguenza un progressivo allontanamento dal pezzo di Italia che va meglio e un avvicinamento alle regioni del Sud.

Il PIL agli inizi del Duemila ha cominciato ad allontanarsi (in negativo) da quello italiano. Dal 1995 al 2000 il PIL pro capite reale dell’Umbria era in linea con quello dell’Italia. Dopo i primi anni del nuovo millennio inizia il distacco. Nel periodo 2007-09, gli anni dello scoppio della crisi, la differenza diviene più significativa superando i 2.160 euro. Successivamente l’andamento non migliora; anzi c’è una tendenza ad un ulteriore allargamento della forbice. Nel 2017, ultimo anno disponibile al momento, si registra un divario di ben 3.857 euro; con valori del PIL pro capite reale umbro pari a 22.570 euro contro i 26.427 di quello italiano. Nel 2000, i valori reali erano rispettivamente 27.189 e 27.318. Quello del PIL non è l’unico dato a destare preoccupazione.

La popolazione al 1° gennaio 2014 era pari a 896.742 mentre al 30 giugno 2019 era 879.859; in cinque anni e mezzo si sono persi 16.883 abitanti. Come se fosse scomparso un comune più o meno delle dimensioni di Todi o Umbertide, ma più grande di Magione, Gualdo Tadino, Castiglione del lago, Amelia, Deruta. E tutto lascia pensare che nel giro di qualche decennio si possa assistere a una diminuzione di abitanti pari a quelli di una città come Terni.

All’inizio del 2019 le persone con più di 64 anni hanno raggiunto quota 26,8% mentre nel 2002 erano il 22,8%. Per molti studiosi che si occupano di tematiche concernenti la popolazione, quando gli ultrasessantenni superano il 30% del totale ci si trova in un punto di non ritorno demografico: all’Umbria mancano 3 punti circa per raggiungere la suddetta soglia. Per ogni 100 giovani fino a 14 anni ci sono 204 persone con più di 64 anni.

Il grado di dipendenza degli anziani dalla popolazione attiva ci dice che nel 2019 vi sono oltre 43 ultra 64enni ogni 100 persone in età lavorativa. L’incidenza della povertà relativa individuale nel 2018 si attesta al 16,3%; il dato riferito alle famiglie fa registrare un 14,3% umbro contro un 11,8% italiano. La disoccupazione giovanile supera il 30%.

Alla fine del 2018 i pagamenti cumulati dei Programmi operativi regionali (FESR e FSE) 2014-2020 si attestavano al di sotto del 20%. E ciò non può non andare ad alimentare il timore che ogni euro non speso, di quelli potenzialmente disponibili, possa diventare un’occasione sprecata. Quello che emerge è un affresco preoccupante. Governare oggi l’Umbria non è facile. C’è sicuramente bisogno di una riflessione attenta e scrupolosa sulla reale capacità di programmazione economica, sociale e territoriale dell’Ente. C’è una necessità di radunare tutte le energie e le competenze potenzialmente utili per migliorare le performance di una regione che oggettivamente da qualche anno ormai è in affanno. Forain scriveva: Ho conosciuto un uomo senza convinzioni, ma che le difendeva con passione”.

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