Giorgio Simon: «Cambia il paradigma, è il sistema sanitario che va a ‘bussare’ all’utente e non il paziente che deve rincorrere l’ospedale»

Giorgio Simon
Giorgio Simon

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Qualche numero
  • Sono 4177 i lavoratori dell’Azienda per l’Assistenza Sanitaria 5 (del Friuli Occidentale)
  • ogni anno sono 110mila gli accessi ai Pronto soccorso della Destra Tagliamento
  • 110mila all’anno sono anche le visite a pazienti a domicilio da parte delle infermiere del territorio
  • tra i servizi attivati dalla domiciliare, si annoverano le cure palliative pediatriche, la radiografia a domicilio, l’elettrocardiogramma a domicilio valutato in presa diretta dal cardiologo, un sistema di ecografia a domicilio
  • sono 1800 gli infermieri dell’AAS5
  • 90 sono le differenti convenzioni attivate singolarmente con le associazioni socio-sanitarie

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La rivoluzione del sistema sanitario nazionale ha prodotto un movimento inverso: «Non è più l’utente a doversi muovere verso l’ospedale, bensì è il servizio sanitario che si sposta dal paziente». A spiegarlo è Giorgio Simon, direttore generale dell’Azienda per l’Assistenza Sanitaria 5 del Friuli Occidentale (AAS 5), azienda che riunisce l’azienda ospedaliera (ovvero l’ospedale Santa Maria degli Angeli di Pordenone e i presidi ospedalieri di San Vito al Tagliamento, Sacile, Maniago, Spilimbergo) e l’azienda territoriale per l’assistenza sanitaria.

 

Come è cambiata la gestione sanitaria?

«Fino a qualche anno fa avevamo cinque distinti ospedali, oggi non è più così: c’è l’ospedale di Pordenone che fa da hub dove convergono le acuzie, e poi ci sono i quattro presidi ospedalieri sul territorio che si stanno sempre più specializzando in modo differente l’uno dall’altro».

 

Ci può fare un esempio?
«Prendiamo la specialità della Chirurgia: quella oncologica viene curata nell’ospedale di Pordenone, quella meno complessa è assegnata all’ospedale di San Vito, il Day Surgery è spostato a Spilimbergo, quella ambulatoriale a Sacile. Ci sono medici chirurghi che si spostano su più presidi ospedalieri in base al tipo di intervento».

 

Un grande ospedale diffuso?
«I servizi di alta specializzazione sono stati concentrati nell’ospedale di Pordenone. Ma al contempo ci sono dei servizi di base (faccio l’esempio dell’assistenza agli anziani) che devono assolutamente rimanere vicini ai cittadini e ai pazienti».

 

Come descrive lazienda che lei dirige?

«Mi affido agli indicatori nazionali e regionali che ci dicono che la nostra Azienda ha un livello molto elevato in fatto di qualità delle cure erogate. Purtroppo abbiamo assunto questo spirito friulano per cui le cose le facciamo bene, ma non le raccontiamo abbastanza. Basti vedere il lavoro che abbiamo fatto sul territorio. Ogni giorno c’è un movimento continuo di personale che si occupa delle cure domiciliari. Quest’azienda è come un motore elettrico, non lo si sente ma c’è. Perciò ai dipendenti dico sempre, se state facendo qualcosa di straordinario, segnalatelo subito e comunichiamolo».

 

Su cosa si basano gli indicatori?
«Ci sono diversi sistemi. Uno è quello che riguarda i medici di medicina generale, che ricevono incentivi per la qualità del servizio dato sulle otto, nove o dodici ore. Chiediamo loro ad esempio quanti dei loro pazienti diabetici fanno tutti i controlli annuali, quante delle donne loro pazienti si sottopongono a screening, quanti vaccini hanno somministrato.. Tutte queste informazioni sono state confrontate con il resto d’Italia: è emerso che il Fvg ha risultati superiori di 10-11 punti percentuali rispetto alla media italiana, e che il territorio pordenonese in regione ha le percentuali migliori».

 

Come avete ottenuto questi obiettivi?
«Grazie al personale che ci mettono anima e corpo, e soprattutto ci mette la faccia. Lavoriamo proprio per incentivare questo senso di appartenenza da parte del personale. Per farlo abbiamo iniziato a valorizzare le risorse interne, accogliendo i progetti dei diversi specialisti e infermieri all’interno del piano industriale».

 

Cosa significa?
«Ogni anno in autunno la Regione dà alle aziende per l’assistenza sanitaria delle linee di indirizzo. Le singole aziende negoziano e fanno il loro piano. Ho chiesto ai nostri operatori e medici che fossero loro a proporre dei progetti. Ne riceviamo una cinquantina all’anno sia da medici che da infermieri, purtroppo non possiamo accoglierli tutti, ma molti sì. Le persone hanno infinite idee; noi proviamo a industrializzarle e a farle diventare obiettivi del piano aziendali».

 

Come si concretizza questo lavoro e come viene comunicato ai cittadini?
«Si redige il piano aziendale e si rendono i progetti degli obiettivi del budget. Abbiamo attivato una convenzione specifica con ciascuna delle 90 associazioni sociosanitarie (anche loro fanno proposte di progetti); le associazioni sono rappresentate in una consulta che fa da trait d’union con l’azienda sanitaria. Noi mettiamo a loro disposizione tutte le informazioni, facendoli partecipare alla costruzione del progetto. A loro chiediamo di aiutarci a divulgare e comunicare al cittadino. La comunità del Friuli Occidentale ha sempre avuto una tradizione partecipativa, utile per portare avanti politiche di salute. Lo dimostra anche il fatto che abbiamo ottimi rapporti con i sindaci di tutti i 50 Comuni del territorio coperto dall’AAS5».

 

Ci sono delle eccellenze?
«Sono molte, abbiamo progetti pioneristici. Impossibile riassumerli. Di recente abbiamo ottenuto la certificazione ufficiale dall’Istituto Superiore di Sanità che riguarda il coordinamento socio-sanitario, nello specifico le Unità educative territoriali in cui vengono inserite le persone con disabilità: lavorano, sono valorizzati e realmente produttivi, fanno un servizio realmente utile alla comunità. Da molti anni a Pordenone abbiamo i primi appartamenti in Italia per l’autonomia di persone con gravi disabilità, che qui abitano, vivono autonomamente, hanno un lavoro e uno stipendio, ricevono la visita di un educatore solo una volta alla settimana. Si chiama “Casa del Sole” ed è nata grazie alla sinergia tra azienda sanitaria, Comuni, imprenditori e associazioni di volontariato».

 

Si diceva del rapporto con i lavoratori. Quali sono le maggiori criticità?
«Il nostro problema è di non riuscire ad assumere chi vorremmo, sia medici (penso ai pediatri e agli anestesisti soprattutto) sia infermieri. Non riusciamo a trovare personale, sebbene ci siano grandi sforzi per il reclutamento di nuove risorse, tanto che proprio per questa ragione anche le relazioni con i sindacati sono molto buone».

 

E daltro canto, quali i punti di forza?

«Sotto il profilo gestionale, siamo l’azienda sanitaria in Italia che paga i propri fornitori più velocemente, consideri che riceviamo 200 milioni di fatture all’anno il 90% delle quali le saldiamo circa a 50 giorni dall’emissione. L’azienda sanitaria che occupa l’ultimo posto in classifica paga dopo 705 giorni. La celerità è il contributo che diamo al benessere della comunità e dei fornitori che spesso sono locali, inoltre produce risparmio perché è un fattore molto utile nella negoziazione dei prezzi».

 

C’è coincidenza tra efficienza reale ed efficienza percepita?

«Cerco di innestare l’orgoglio sui casi positivi, ma la comunicazione è sempre difficile. Dovremmo raccontarci di più. Gli utenti purtroppo spesso hanno il senso di una continuità assistenziale polverizzata invece non è così. Alla persona che ha un problema e accede al sistema sanitario, bisogna far capire che non si deve preoccupare su dove andare e come muoversi, perché è l’azienda sanitaria a prendersi carico di quel paziente. Purtroppo spesso queste cose non le si conoscono. Una famiglia con un disabile o un anziano a carico può accedere a ben 11 servizi, ma spesso i familiari non lo sanno».

 

Come accorciare questo gap informativo?
«Credo l’unico modo sia metterci la faccia. Io ho scelto questa via, l’ho fatto anche sui social network, su Facebook le informazioni le dò personalmente. Purtroppo su internet circolano e si sedimentano informazioni sbagliate, perciò bisogna essere presenti col proprio nome e cognome e cercare di portare trasparenza e chiarezza».

 

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