Chiudono trecento librerie “storiche” in Italia. Effetto e-commerce?

Erano state, da sempre, delle icone delle grandi città, le librerie “mono negozio”, quelle dove si presentavano libri, si parlava col titolare, si faceva, a suo modo, cultura. Su tutte quelle della Rizzoli, chiusa a Roma, chiusa, ma riaperta, a New York. Proprio loro hanno avuto una spallata da parte del commercio elettronico. In cinque anni ne sono sparite quasi trecento in Italia, un numero enorme anche perché non sono state rimpiazzate da altri luoghi analoghi ma solo dalla “freddezza” di un computer. Non solo quello, però: un po’ la risi economica anche se i lettori di libri in Italia sono molto pochi; è contata soprattutto l’aggressiva attività dei grandi gruppi a cominciare proprio da Amazon, un colosso, anzi il “colosso” mondiale.
Amazon tanto per dire, fornisce un servizio eccellente, e poi una politica dei prezzi a dire poco, eccezionale, con sconti a ripetizione, che a volte nemmeno le case che editano i libri possono permettersi. Senza parlare del suo catalogo: praticamente contiene tutte le opere che vengono pubblicate nel mondo. Aspetto che vuole dire molto rispetto al rapporto cogli editori: il pagamento dei libri avviene poi tutto per contanti, cosa che non dispiace a nessuno. Ovviamente il discorso di Amazon si ripresenta pari pari anche per altre aziende dell’e-commerce che sfruttano i grandi cataloghi anche per avere anche un posizionamento migliore per intercettare i visitatori e, paragonando il funzionamento ad un supermarket tradizionale, ecco che si esce dal collegamento anche con cose che magari nemmeno era in programma di acquistare. Insomma, c’è una responsabilità per le chiusure di librerie storiche? Di sicuro il loro regime fiscale, pesante, che non riesce a far pari con quello dei giganti dell’e-commerce che non risiedono, tranne eccezioni in Italia.

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