Il fisco in Italia è al 49%

L’Ufficio studi della Cgia ha stimato la pressione fiscale reale per il 2016. Rispetto a quella ufficiale, lo scarto è del 6,4% in più: in totale il 49%. La differenza di calcolo risiede nella metodologia: il governo include nella stima anche le attività in nero, che rientrano in parte nel Pil nazionale (nel 2014, ultima rilevazione Istat, incidevano per il 13%).

Il problema è che le tasse di queste attività sconosciute al Fisco non vengono pagate, e quindi cambia il rapporto tra contributi versati all’ente pubblico e il Pil (la pressione fiscale è infatti calcolata dal rapporto tra le entrate e il Pil dell’anno in corso). Includendo nel Pil le attività che navigano nel cono d’ombra del sommerso, la pressione fiscale è al 42,6%, ma togliendole come fa giustamente la Cgia, la pressione sale al 49%.

Una cifra ritenuta da tutti gli osservatori insostenibile per le aziende italiane, i contribuenti e i pensionati, anche se inferiore rispetto al 2015 (quando era al 49,9%). Afferma il segretario della Cgia Renato Mason: “Con un peso fiscale simile sarà difficile trovare lo slancio per ridare fiato all’economia del paese in una fase dove la crescita rimane ancora molto debole e incerta”.

La tendenza è dunque verso una diminuzione della pressione fiscale (dopo il record del 2013 al 50,1%), ma “il peaso delle tasse rimane ancora eccessivo e del tutto ingiustificato rispetto alla qualità e alla quantità dei servizi pubblici erogati”, dice Paolo Zabeo, coordinatore dell’Ufficio studi Cgia. In attesa che con la nuova legge di stabilità la pressione fiscale possa scendere ancora un po’ nel 2017.

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