Negli ultimi anni, la figura del commercialista, originariamente focalizzata sulla gestione e sul controllo della contabilità di commercianti, professionisti e imprese, si è arricchita di nuove attività, mansioni e responsabilità, adattandosi ai tempi attuali e aprendosi a nuove opportunità, come illustra Diego De Marzo, 38enne dottore commercialista e consulente d’impresa, attivo principalmente nel Sud Italia. Grazie alla sua esperienza e al suo ruolo di osservatore privilegiato del tessuto imprenditoriale, il dottor De Marzo stila un “ritratto” di questa figura professionale strettamente interconnessa con un mondo del lavoro in continua evoluzione.
«Spesso sento dire che i commercialisti con il tempo e gli automatismi non serviranno più», spiega. «In realtà è esattamente il contrario. Essere un commercialista oggi, vuol dire essere un consulente d’impresa complementare al proprio cliente, che sappia assisterlo non solo dal punto di vista giuridico e fiscale ma soprattutto nell’adozione di nuove strategie da mettere a punto per migliorare il proprio business. Non siamo e non possiamo più essere solo i tenutari della contabilità aziendale, dobbiamo essere anche i consulenti strategici della stessa: conosciamo il business, i movimenti e le potenzialità del sistema azienda ed è per questo che siamo in grado di accompagnare l’impresa nella fase della riorganizzazione, del consolidamento, della crescita e dello sviluppo. Per questo motivo, credo fortemente che il concetto di network e di aggregazione tra professionisti faccia la differenza: solo attraverso la sommatoria di competenze multidisciplinari e servizi complementari si può rimanere al passo con i tempi e, anzi, è possibile anticiparli, cavalcando l’onda del cambiamento».
È evidente che in un mondo del lavoro sempre più connesso e orientato all’utilizzo di tecnologia e software, la figura del commercialista sia chiamata ad acquisire una crescente e diversificata competenza: «Per quanto concerne la professione del commercialista, software e tecnologie non costituiscono necessariamente un rischio… Detto in parole povere, essi non sostituiranno i commercialisti e, in generale, i professionisti. Al contrario, questi strumenti, ove utilizzati in modo ponderato, possono rappresentare un modo per elevare il proprio approccio verso una professione, intesa in modo strategico e organizzativo a supporto dell’impresa. Una simile trasformazione appare, a mio parere, di gran lunga più indispensabile, perché difficilmente sostituibile».
In tal senso, anche la continua evoluzione dell’intelligenza artificiale (AI), che progredisce di giorno in giorno, deve essere vista come un’opportunità nel prossimo futuro.
«Nel panorama lavorativo odierno – continua De Marzo – non si può ignorare l’evoluzione dell’intelligenza artificiale, la quale può condizionare la nostra vita, in positivo o in negativo. In positivo, essa può implicare un migliore accesso all’informazione e una più efficiente elaborazione dei dati, che possono tradursi nell’erogazione di servizi migliori. Può consentire, inoltre, lo sviluppo di nuovi prodotti e settori attraverso catene del valore maggiormente ottimizzate».
Secondo quanto emerso da recenti studi in materia, l’intelligenza artificiale generativa potrebbe aumentare il Pil globale annuo del 7%, nei prossimi 10 anni.
«Queste sono opportunità concrete, e fare dei passi in avanti insieme al mondo che si evolve è una necessità, più che una scelta».
Al tempo stesso, però, occorre prestare massima attenzione ad alcune “minacce” o pericoli.
«Più in generale, l’abuso dell’AI rappresenta un problema, così come lo è tentare di utilizzarla per seguire logiche per le quali non è adatta. Una “minaccia” impattante, ad esempio, è rappresentata proprio dal rapido accesso a informazioni, che possono sortire un effetto boomerang sotto forma di contenuti falsi, o deepfake, utilizzati appositamente per screditare o rovinare la vita delle persone.
Nel settore occupazionale, tra i rischi maggiormente percepiti c’è, naturalmente, la possibile scomparsa di alcune tipologie di attività legate a processi standardizzati.
«In realtà, l’obiettivo dell’AI dovrebbe essere quello di creare lavori nuovi e migliori, ma per consentire che questo accada è indispensabile che vi sia un adeguato inserimento alla formazione, affinché tutti possano accedervi per sviluppare le proprie competenze, così da plasmare una forza lavoro gradualmente sempre più qualificata soprattutto nel medio/lungo termine. È quindi evidente come, accanto ai rischi, ci siano anche tante opportunità: l’importante è saper identificare sempre il confine per tutte le diverse tipologie di combinazioni della collaborazione tra l’uomo e l’intelligenza artificiale, così da sfruttare al meglio il potenziale positivo di questa tecnologia».
In un contesto lavorativo così evoluto grazie a tecnologia, AI e nuove opportunità, essere pronti ad abbracciare le professioni del futuro diventa quindi essenziale: «Assolutamente sì – prosegue De Marzo -. Già oggi, ma ancor più nei prossimi anni, le skills indispensabili per indirizzare la propria carriera e definire il potenziale di ogni individuo ruoteranno intorno ai concetti di tecnologia, personal branding, curiosità e networking. Penso ad esempio a professionisti con competenze sempre più specifiche e tecniche, una tendenza alimentata proprio dalla progressiva diffusione delle tecnologie di intelligenza artificiale e di automazione industriale. E non si tratta solo di professioni con formazione universitaria, ma anche di lavori green o creativi o artigianali abbinati alla tecnologia. Per i giovani che completano il percorso scolastico, esistono diversi percorsi di orientamento “al futuro” indispensabili, che devono essere sempre adeguatamente diffusi e rafforzati anche attraverso le indispensabili collaborazioni istituzionali con le amministrazioni locali. Inoltre, anche le università oggi offrono adeguata formazione e nuovi corsi di studio che guardano alle professioni del futuro. Il denominatore comune è appunto quello di crearsi un appetibile bagaglio di competenze intese sia come hard che soft skills».
Parlando di professioni future non si può non citare l’utilizzo dello smart working e, più in generale, della sempre maggiore attenzione all’equilibrio tra vita privata e lavoro.
«Nell’era del post-pandemia e dell’ingresso nel mondo del lavoro dei cosiddetti Gen-Z, la questione dell’equilibrio vita-lavoro è divenuta centrale per il benessere e per le scelte lavorative delle persone e, di conseguenza, per la sostenibilità e il successo delle imprese stesse. Una delle principali difficoltà consiste appunto nel trovare il giusto equilibrio tra una cultura aziendale dinamica ed il rispetto dei confini tra vita privata e lavoro. Le aziende possono certamente attivarsi per migliorare le loro modalità di organizzazione del lavoro e per garantire che i dipendenti non siano costantemente sovraccaricati di compiti o sollecitati da notifiche e richieste fuori orario. Ecco allora che implementare politiche che promuovano il rispetto dei tempi di riposo è fondamentale per sostenere il benessere dei lavoratori. Dall’altra parte, i lavoratori devono sempre puntare al miglioramento della propria produttività per far sì che l’azienda possa continuare ad investire nella fiducia reciproca, di cui lo smart working è una delle più note conseguenze. Se ben disciplinata, rispetto alle soggettive attività e organizzazioni aziendali, ai contesti e alle situazioni, questa modalità di lavoro rappresenta oggi una grande opportunità, anche se attuata ad esempio in alcuni giorni della settimana, proprio per consentire di conciliare lo spazio-tempo di vita-lavoro con l’importanza delle relazioni umane, che rappresentano molto spesso il vero valore di crescita del lavoratore stesso e dell’azienda».
L’utilizzo dello smart-working ha cambiato la visione dell’ufficio inteso solo come insieme di postazioni di lavoro: se, da un lato, le aziende hanno razionalizzato le proprie strategie con location più piccole per contenere i costi, dall’altro è aumentata la domanda di uffici in co-working, ovvero spazi condivisi con altri professionisti in cui il lavoro crea un filo conduttore con le relazioni umane. L’ufficio si sta sempre più evolvendo da luogo fisico ad elemento di un ecosistema: migliorare il benessere organizzativo dei lavoratori quindi non è solo eticamente corretto, ma sta diventando sempre più una linea guida per garantire il successo e la sostenibilità aziendale.