In dieci anni l’Italia ha perso quasi 325mila imprenditori italiani (324.605, il 17,4%). A lanciare l’allarme è l’Ufficio studi della Cgia di Mestre, che analizza l’andamento del numero di imprenditori artigiani dal 2012 (quando ne risultavano 1.866.904) al 2022, quando se contano 1.542.299.
Una discesa dovuta non solo allo scarso interesse da parte dei giovani, ma anche al fatto che molti imprenditori artigiani hanno deciso di chiudere la partita Iva e magari di proseguire a lavorare come dipendente, per avere una maggiore sicurezza. Scelte che poi influiscono anche sui servizi e sul “paesaggio” delle nostre città, soprattutto nei borghi minori.
Le cause del crollo
La Cgia di Mestre analizza anche le cause di questo fenomeno. Il forte aumento dell’età media, provocato in particolar modo da un insufficiente ricambio generazionale, la feroce concorrenza esercitata dalla grande distribuzione e in questi ultimi anni anche dal commercio elettronico, il boom del costo degli affitti e delle tasse nazionali/locali
hanno spinto molti artigiani a gettare la spugna. I consumatori,
inoltre, hanno cambiato il modo di fare gli acquisti. Da qualche decennio hanno sposato la cultura dell’usa e getta, preferiscono il prodotto fatto in serie e consegnato a domicilio. La calzatura, il vestito o il mobile fatte su misura sono ormai un vecchio ricordo; il prodotto realizzato a mano è stato scalzato dall’acquisto scelto sul catalogo on
line o preso dallo scaffale di un grande magazzino.
Per questo, si torna a chiedere di rivalutare il lavoro manuale, soprattutto fra le giovani generazioni. Partendo dalla scelta delle scuole, con gli istituti professionali e tecnici che sono ancora considerati di serie b.
L’allarme per il Made in Italy
Una tendenza che sta mettendo in crisi il Made in Italy. Con le piccole aziende che fanno fatica a reperire figure chiave per tante lavorazioni tradizionali del nostro Paese, come i sarti e i falegnami. Con la mancanza di ricambio generazionale, molte lavorazioni vengono affidate altrove, anche perché risultano meno costose, anche di qualità minore.
I territori
La perdita percentuale peggiore, tra i territori, si ha nella provincia di Vercelli, dove in dieci anni è sparito oltre il 27% degli imprenditori artigiani. Stessa percentuale toccata a Teramo. E di poco superiore a quella segnata a Lucca (27%). Le perdite minori si hanno a Bolzano -2,3%), Napoli (-2,7%) e Trieste (-3,2%).
In termini assoluti le province che hanno registrato le perdite più importanti sono state Bergamo con -8.441, Brescia con -8.735, Verona con -8.891, Roma con -8.988, Milano con -15.991 e, in particolar modo, Torino con -18.075 artigiani.
Per quanto riguarda le regioni, infine, le flessioni più marcate in termini percentuali hanno interessato il Piemonte con il -21,4, le Marche con il -21,6 e l’Abruzzo
con il -24,3 per cento. In valore assoluto, invece, le perdite di più significative hanno interessato l’Emilia Romagna (-37.172), il Veneto
(-37.507), il Piemonte (-38.150) e, soprattutto, la Lombardia (-60.412 unità).