Grano duro, prezzi in picchiata: allarme per la produzione di pasta Made in Italy

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Allarme per le produzioni dopo l’andamento delle quotazioni del grano duro, nell’ultimo mese calate anche del 10% su base settimanale. Una volatilità che preoccupa gli operatori del comparto, come ha evidenziato Filippo Schiavone, componente di Giunta Confagricoltura, al Tavolo sul grano duro convocato al MASAF alla presenza del ministro Lollobrigida.

Un incontro nel quale è stata posta la necessità di valorizzare maggiormente le produzioni nazionali di pasta ottenuta con 100% di grano duro italiano, intensificando anche i controlli sulle produzioni italian sounding; fronteggiare la volatilità dei prezzi puntando ancora di più sui contratti di filiera; riattivare la Commissione Unica Nazionale per il grano duro per aiutare a migliorare la conoscenza dei processi di formazione dei prezzi.

Sulle piazze di Bari e Foggia le quotazioni del grano duro ‘fino’ all’origine sono crollate del 25-26% da inizio anno e del 14-15% nell’ultimo mese.

“La questione della tenuta del prezzo pone un serio problema di autoapprovvigionamento – ha spiegato Schiavone -. Mentre negli ultimi anni si era assistito a un miglioramento del tasso di autoapprovvigionamento per il grano duro, la minore remunerazione della materia prima potrebbe indurre a contrarre le semine e quindi la produzione nazionale con un maggiore ricorso alle importazioni”.

Questa situazione – evidenzia Confagricoltura – farà aumentare anche il potenziale dell’export verso l’Italia, che nel 2022 aveva subito un vero e proprio crollo con un calo delle importazioni dal Canada di oltre il 40%. Nel 2022 l’Italia, primo produttore mondiale di pasta, ha importato più grano duro dall’UE (essenzialmente da Francia e Grecia) che dal Canada, tradizionalmente primo Paese fornitore.

“E’ inoltre essenziale – ha concluso Schiavone – avere maggiore conoscenza della situazione di mercato con dati aggiornati e disponibili in materia. A questo scopo, tuttavia, Confagricoltura non ritiene sia confacente l’obbligo di istituzione e tenuta del registro di carico e scarico di cereali e derivati, il cosiddetto ‘granaio d’Italia’ che sinora non è di fatto partito se non in via sperimentale e che rischia di tradursi unicamente in un ulteriore aggravio burocratico per le imprese”.

Per Luca Lazzàro, presidente di Confagricoltura Puglia “Il crollo dei prezzi del grano duro si sta abbattendo sulle aziende pugliesi in modo significativo. Questa diminuzione dei margini incide pesantemente sia sugli investimenti fatti nei mesi scorsi dagli imprenditori e sia sui lavoratori del settore che vedono messi a rischio i loro posti.  La Puglia è al primo posto tra le regioni italiane con la maggiore presenza di aree coltivati a grano duro (344.700 ettari) e produzione raccolta (688mila tonnellate), seguita da Sicilia (272.405 ettari e 813mila t) e Basilicata (115.236 ettari per 321mila t). Per questo, è anche essenziale adattare la capacità produttiva ai mutamenti climatici e intensificare in modo sostenibile le produzioni attraverso investimenti materiali e immateriali. Il settore dei seminativi può avvantaggiarsi dall’innovazione, dalla ricerca scientifica. Servono – sottolinea – anche investimenti per migliorare la ricerca, le tecnologie su campo, l’agricoltura di precisione e il miglioramento genetico, tutto questo per andare incontro a consumatori sempre più esigenti e attenti all’alimentazione e alla tracciabilità dei prodotti”.  

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