Quello che tutti sapevano ora ha anche il crisma di una ricerca portata avanti dal Centro Studi Tagliacarne: in Umbria gli stipendi sono più bassi rispetto alla media nazionale. E mentre a Perugia il calo è leggero, ma esiste, nell’ordine del meno 3,1%, a Terni poi crollano addirittura del 24%. Sono i salari e stipendi pro-capite che stanno allargando il divario col resto dell’Italia, soprattutto quella del Nord. Per onore della verità a Terni si è assistito negli ultimo due anni ad un “ripresina” perché c’è stato un aumento del 4,8%, superando di netto la media italiana (+2,5%) e segnando un aumento doppio rispetto al +2,4% registrato in provincia di Perugia. Ma la differenza rimane. E forte
In valori assoluti, nella media nazionale un dipendente ha ricevuto 301 euro lordi in più nel 2021 rispetto al 2019, in provincia di Perugia l’incremento è stato invece di 283 euro e in provincia di Terni di circa 434 euro.
Ovviamente, ancora una volta in vetta in termini di valori per redditi da lavoro dipendente pro-capite ci sono le province di Milano, Bolzano, Bologna e Parma (vedere Tabella 1 e Grafico 1). Basti pensare che a Milano le buste paga sono due volte e mezzo più pesanti della media nazionale (e di quella della provincia di Perugia) e 3,21 volte rispetto alla provincia di Terni.
È quanto emerge dalle elaborazioni provinciali realizzate dal Centro Studi Tagliacarne sulle voci che compongono il reddito disponibile a prezzi correnti.
Il rapporto evidenzia che “in Italia le buste paga più leggere in 22 province su 107 tra il 2019 e il 2021. In queste aree un lavoratore dipendente ha perso in media nel triennio 312 euro, a fronte di una crescita nazionale di circa 301 euro. Sensibili sono le differenze a livello territoriale. Salari più magri di oltre mille euro a testa si registrano a Venezia, Firenze e Prato. Mentre crescite al top si rilevano a Milano (+1.908 euro), Parma (+1.425) e Savona (+1.282). Sotto la Madonnina i dipendenti sono anche i meglio pagati d’Italia, con uno stipendio medio di 30.464 euro nel 2021, due volte e mezzo la media nazionale di 12.473 euro e nove volte più alto di quello di Rieti fanalino di coda nella classifica retributiva. Ma va detto che nel capoluogo lombardo il reddito da lavoro dipendente rappresenta oltre il 90% del reddito disponibile contro il 23,9% di Rieti e il 63,1% della media nazionale”.
Al Nord l’oro c’è e luccica. Ma allo stesso tempo non tutto ciò che luccica è oro La dichiarazione del Presidente Mencaroni
Il report del Tagliacarne segnala che “tra, il 2019 e 2021, il peso in termini pro-capite del reddito da lavoro dipendente sul totale del reddito disponibile è rimasto stabile intorno al 63%. Ma in 42 province su 107, delle quali solo sei sono del Mezzogiorno, è aumentato passando dal 68,7% nel 2019 al 69,7% nel 2021. Nel complesso, l’incidenza delle retribuzioni sulle entrate disponibili si rileva più marcata nelle città metropolitane (71,3%) meno nelle province (57,6%). Ai due estremi di questa forbice, come abbiamo visto, si trovano Rieti con il 23,9% e Milano con il 90,7%. Tanto che, se stilassimo una classifica del reddito disponibile al netto del reddito da lavoro dipendente, il capoluogo lombardo precipiterebbe all’ultimo posto in classifica con appena 3.131 euro a testa”.
Cosa significano questi dati sul rapporto tra reddito da lavoro dipendente e reddito disponibile? Che nel Nord del Paese i redditi da lavoro dipendente sono certamente più elevati, e talvolta molto più elevati rispetto al resto del Paese, ma che i dipendenti possono contare su meno entrate extra lavoro dipendente, su cui invece possono contare i dipendenti di molte altre regioni, soprattutto quelle a maggiore vocazione agricola: dai pezzi di terra coltivati che rendono in termini di autoconsumo familiare e/o in termini di vendita alla messa a valore attraverso la locazione (in forte crescita sono state quelle turistiche, dai bed &breakfast alle case vacanza e così via).
A questo, va aggiunto che in molte realtà a cominciare da Milano, dove i redditi da lavoro dipendente pro-capite sono molto più elevati della media nazionale, anche il costo della vita è maggiore e quindi, se si trasformano i dati rendendoli in PPA (Parità di Potere d’Acquisto), la distanza si ridimensiona.
“L’Umbria – afferma il Presidente della Camera di Commercio dell’Umbria, Giorgio Mencaroni – è impegnata nel recupero della produttività e dell’innovazione che ha iniziato a perdere all’inizio degli anni Duemila e che sono poi crollate durante la Grande Recessione seguita alla crisi dell’economia finanziaria mondiale del 2007-2008. Aumentare la produttività, sia quella di sistema sia quella aziendale, il che equivale a fare importanti balzi innovativi, è la via maestra per la crescita dell’economia e per quella delle retribuzioni, che però andrebbero aiutate nel breve e medio con un robusto taglio del nucleo fiscale, per mettere in condizioni di parità rispetto agli altri Paesi europei. Detto questo, è importante osservare due cose dei dati del Tagliacarne: il primo è che, nelle aree – a cominciare da Milano – dove salari e stipendi sono assai elevati, questi rappresentano oltre il 90% del reddito disponibile degli stessi lavoratori dipendenti, mentre nelle altre regioni tale quota è più bassa. Ciò significa che in altre regioni i lavoratori dipendenti godono di ulteriori entrate. E poi il fatto che anche il costo della vita a Milano è assai più elevato che altrove. Questo per dire che i modelli di sviluppo possono essere diversi e certamente l’Umbria, se deve assolutamente effettuare un forte recupero di produttività e di innovazione, deve tuttavia guardare a un modello di crescita che non distrugga i fattori della sua qualità della vita e che non stravolga le vocazioni della regione. L’obiettivo deve essere quella di diventare una regione ideale dove poter vivere e fare impresa. Insomma, è verissimo che al Nord l’oro c’è e luccica. Ma è anche vero che non tutto ciò che luccica è oro”.