PSA, “area infezione raddoppiata, basta posizioni ideologiche sui cinghiali”

PSA

“Purtroppo la diffusione della PSA (Peste Suina Africana, ndr) sta registrando una preoccupante accelerazione: nei giorni scorsi è stata rinvenuta una carcassa di cinghiale infetta sul confine tra Piemonte ed Emilia Romagna, e questo non può che aumentare il timore circa il pericolo che la situazione sfugga di mano e investa un’area dove gli allevamenti suinicoli destinati alle produzioni Dop sono molto diffusi”. Lo spiega Francesco Feliziani, responsabile del Laboratorio Referenze Nazionali Peste Suine presso l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche con sede a Perugia. Per Feliziani, a un anno dalla comparsa del primo caso di PSA nel nostro Paese la situazione, purtroppo, non è migliorata, nonostante le strategie di contenimento adottate che evidentemente non si sono rivelate efficaci e soprattutto risolutive. “Tant’è vero – sottolinea – che nel giro di un anno l’area interessata dall’infezione è più che raddoppiata e a questo punto parlare di un cambio di passo nelle azioni di contrasto alla malattia è quantomeno doveroso”.

In Italia Ispra stima la presenza di un milione e mezzo di cinghiali (vedi i dati su abbattimenti e danni).

Suinicoltura Congress

Le minacce sanitarie che incombono sugli allevamenti suinicoli, a partire proprio dalla PSA, saranno uno dei temi al centro di Suinicoltura Congress, il più importante evento dedicato alla suinicoltura organizzato da EV Edizioni Veterinarie srl, in programma a Cremona il 27 febbraio 2023 a partire dalle ore 9, (www.suinicolturacongress.it)  tema che sarà dibattuto proprio da Francesco Feliziani (vai al programma).

“Basta posizioni ideologiche sul presunto benessere dei cinghiali”

“A livello internazionale la ricerca scientifica sta lavorando alacremente per arrivare quanto prima alla disponibilità di un vaccino contro la PSA – sottolinea Feliziani – ma allo stato attuale non disponiamo purtroppo di risultati immediatamente spendibili. A questo dobbiamo aggiungere la scarsa attenzione che negli ultimi tempi i media stanno riservando a questa emergenza, sottovalutandone la gravità e lasciando spesso più spazio a posizioni ideologiche che  intendono difendere un presunto benessere dei cinghiali, lasciando in ombra le istanze del mondo produttivo che evidentemente hanno uno scarso appeal anche sull’opinione pubblica. Questo è un grosso problema perché sarebbe necessario invece garantire un’informazione corretta che non demonizzi gli allevamenti intensivi, mettendo al contrario al centro dell’attenzione la priorità assoluta del mondo produttivo che è il benessere animale, rispetto al quale gli allevatori stanno indirizzando molte risorse anche sulla spinta di una normativa nazionale e comunitaria molto stringente. Esiste poi il tema della biosicurezza che fa il paio con adeguate strategie vaccinali finalizzate a prevenire la diffusione in allevamento di malattie che possono compromettere la salute degli animali e di conseguenza la redditività degli allevatori. La biosicurezza – continua Feliziani – rappresenta un grande investimento non solo negli allevamenti intensivi ma anche in quelli estensivi e familiari: per ogni tipologia è infatti necessario utilizzare un approccio specifico perché diverso è il contesto in cui si opera. Una cosa però deve essere chiara: un adeguato intervento di biosicurezza non può riguardare il singolo allevamento ma deve integrarsi con il territorio e le diverse realtà produttive che lo circondano, solo così è possibile individuare i potenziali rischi per intervenire con una prevenzione  adeguata ed efficace”.

Commercio all’estero, la compartimentalizzazione

Feliziani parla anche della differenza tra regionalizzazione e compartimentalizzazione, di cui si parla nella gestione delle malattie infettive rispetto alla commercializzazione all’esterno delle produzioni suinicole DOP.

“Stiamo parlando di un tema di grande attualità in cui a cambiare profondamente deve essere proprio l’approccio. Con la regionalizzazione il criterio adottato è quello della territorialità, mentre la compartimentalizzazione si focalizza sulla tutela di quelle aziende che offrono adeguate garanzie di biosicurezza, escludendole di fatto da eventuali restrizioni imposte dai Paesi importatori. Questo potrebbe andare a beneficio soprattutto dei grandi allevamenti, ma non dimentichiamo che il settore suinicolo è al centro di una grande trasformazione dove la lotta alle malattie infettive si può vincere solo con strategie di più ampio respiro. Prendiamo ancora a riferimento la PSA. Chi pensa che costituisca un problema destinato a risolversi da solo o a passare silenziosamente commette un grosso errore. È invece un problema doloroso e oneroso rispetto al quale gli allevatori non riescono a far sentire adeguatamente la loro voce. Spesso si invocano ristori per aiutare le aziende del settore, ma ci sarebbe invece bisogno di una politica di investimenti sulla biosicurezza per prevenire i danni legati alla circolazione delle malattie infettive, e per questo rimane fondamentale la necessità di aumentare il livello di consapevolezza negli operatori attraverso una capillare e corretta informazione. Gli allevamenti intensivi non sono il male assoluto come invece qualcuno vorrebbe far credere – conclude Francesco Feliziani – illudendo il consumatore che la difesa della fauna selvatica si concretizzi attraverso una sorta di umanizzazione che invece è controproducente, perché il benessere di questi animali si realizza pienamente nel loro habitat naturale, che è molto diverso da quello urbano o comunque antropizzato. La complessità di questi argomenti richiede un’informazione più corretta e non passa attraverso soluzioni semplicistiche che vengono propinate da opinionisti improvvisati”.

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