La pandemia in Umbria: ha colpito soprattutto i privati

Grazie all’ultimo aggiornamento dell’Osservatorio ‘Lavoratori dipendenti e indipendenti’ si può vedere e capire cosa è successo ai lavoratori e ai loro redditi nel primo anno di pandemia. La banca dati copre più del 95 per cento dei lavoratori regolari, restano fuori solo i professionisti iscritti alle Casse previdenziali degli ordini e alcuni autonomi che sono esentati da contribuzioni. Vediamo quindi cosa è cambiato in Umbria secondo lo studio Aur.

Nel 2020 il numero totale degli occupati è salito a 370.001: il 53,2 per cento è dipendente privato, il 14,4 per cento dipendente pubblico, il 20,1 per cento lavoratore indipendente. Rispetto al dato nazionale, in Umbria c’è una presenza minore di dipendenti privati, ma una maggiore incidenza di dipendenti pubblici, indipendenti (artigiani e commercianti) e lavoratori domestici. Rispetto al 2019, si è registrato un aumento di 5.198 lavoratori, pari all’1,4 per cento (0,3 per cento in Italia), in particolare grazie al boom degli occasionali/voucher, di oltre 10 mila unità, in seguito all’introduzione del bonus baby sitting per fronteggiare l’emergenza covid. Dal punto di vista reddituale, dunque, il contributo di questa categoria è marginale, considerata anche la durata della prestazione, mediamente 10 settimane contro le 41 totali. È cresciuto il numero di dipendenti pubblici, in Umbria e in Italia, e il personale domestico. Da segnalare il calo di 6.345 dipendenti privati e di 759 artigiani e commercianti. Aumentano le unità lavorative, ma diminuiscono in media le settimane lavorate all’anno (tre in meno), soprattutto tra dipendenti privati e occasionali, non tra artigiani, commercianti e autonomi agricoli, che dedicano al lavoro una media di 51 settimane annue.

Ora analizziamo i redditi. Ai lavoratori umbri sono assegnati 7.351 miliardi di euro (l’1,3 per cento dell’ammontare italiano). Più della metà arrivano dal lavoro dipendente privato, per quasi un quarto dal lavoro dipendente pubblico (in Italia siamo rispettivamente al 58 e al 21 per cento). In Umbria, incide relativamente di più anche ciò che viene dichiarato dai lavoratori autonomi, artigiani e commercianti, e dalle altre tipologie di lavoratori. In Umbria, ci sono anche lavoratori con più posizioni (ossia con più di un lavoro): nel 2020 rappresentano il 6,3 per cento del totale, con un reddito medio da lavoro pari a 25.883 euro, il 33 per cento in più rispetto ai lavoratori con una sola posizione (reddito medio annuo di 19.466 euro, -9 per cento rispetto al dato nazionale di 21.341 euro).

I più pagati sono i dipendenti pubblici (più di 33 mila euro in Umbria, come in Italia), poi gli amministratori (quasi 33 mila euro in Umbria, più di 39 mila in Italia). I commercianti arrivano a quasi 19 mila, così come i dipendenti privati e gli artigiani, con valori inferiori a quelli italiani. Soprattutto i dipendenti privati (-11 per cento), che essendo tanti, sottodimensionano i redditi umbri rispetto alla media nazionale. In Umbria non sono poi da sottovalutare l’economia sommersa e quella illegale, come segnalato dall’Istat: la parte non rilevata dell’economia è pari al 15,3 per cento del valore aggiunto totale, rispetto al 12,6 per cento nazionale.

Nel 2020 il reddito medio è diminuito del 6,9 per cento (-6 per cento in Italia), ma si è anche lavorato di meno. Ci sono differenze tra categorie. Se il minor reddito è attribuibile alla contrazione dell’attività per commercianti, artigiani e professionisti, per i dipendenti privati si tratta di una diminuzione del tempo lavorato, considerato che il reddito medio settimanale si è addirittura incrementato. I lavoratori occasionali, rispetto al 2019, hanno guadagnato mediamente molto di più pur avendo lavorato molto meno; i dottorandi e specializzandi, a parità di reddito settimanale, hanno aumentato di molto il tempo lavoro per l’utilizzo intenso nella sanità.

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